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Il Robot e il Professore, Parte Prima: La Missione

Una storia sci-fi in due parti per raccontarvi Lucca a modo nostro!

Il Professore sollevò il pesante interruttore del suo laboratorio e osservò i tre tubi al neon illuminarsi uno dopo l’altro, gettando una luce fredda, bluastra, sul grosso stanzone disseminato di macchinari, aggeggi e congegni. Si sfregò le mani mentre il suo respiro diventava visibile in volute e sbuffi nell’aria gelida del laboratorio -che doveva rimanere tale, purtroppo, per contrastare il surriscaldamento dei potenti calcolatori ammassati nella stanza- e a grandi passi raggiunse il tavolo da lavoro posto proprio al centro, sotto a uno dei tubi al neon. Afferrò il lembo del pesante telo che copriva il tavolo e, delicatamente, lo sollevò, rivelando il risultato delle sue ultime fatiche.
“Siamo a buon punto”, pensò, accarezzando quasi amorevolmente il viso sintetico del robot sdraiato sul suo tavolino.
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In effetti, il grosso del lavoro era compiuto. Aveva testato la meccanica di gambe e braccia, sottoposto ogni giuntura, ogni articolazione, ogni parte delicata a degli stress test vigorosi, anche in considerazione del luogo ostile in cui la sua creazione avrebbe dovuto svolgere la sua missione, e tutto funzionava alla perfezione. Aveva compiuto numerosi test sull’autonomia energetica del droide: poteva rimanere costantemente attivo per quasi nove giorni, con un breve ciclo di ricarica di una manciata di ore per notte. Il tutto per una missione di cinque giorni. Quattro giorni di ridondanza gli sembravano ancora pochi, ma se li sarebbe dovuti far andare bene.
Avrebbe compiuto un ultimo collaudo su tutti i dispositivi accessori più tardi. Per quanto fossero componenti di straordinaria importanza, e con un costo economico altrettanto straordinario, non erano essenziali per la riuscita della missione: potevano aspettare.
Ciò che non poteva assolutamente più aspettare, invece, era la programmazione, il software; il cervello, letteralmente, del droide.
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Con un sospiro ed un’ultima occhiata carica di emozione al corpo immobile, il Professore si mosse verso ciò che ad un occhio non addestrato sarebbe probabilmente sembrato un grosso frigorifero. Si trattava invece di un’impalcatura termoregolata di altissima precisione, un trionfo di tecnologia in grado di garantire il mantenimento di qualsiasi temperatura fino a un minimo di 263,15 gradi Kelvin tramite un modesto utilizzo di corrente elettrica. Il Professore venne avvolto da una nube di vapore congelato mentre apriva lo sportello. Con paranoica attenzione allungò le braccia ed estrasse la teca contenente il cervello positronico del robot. Lentamente tornò al suo tavolo da lavoro e adagiò il cervello, simile in dimensione e forma ad una noce di cocco, nell’apposito alloggiamento del cranio sintetico. Solo quando sentì il soddisfacente scatto rumoroso delle piccole morse di sicurezza si concesse un sospiro di sollievo. Detergendosi il sudore freddo dalla fronte tornò a chiudere lo sportello dell’impalcatura termoregolata, poi si diresse verso la piccola sedia da ufficio posta di fronte ai due grandi schermi del suo potente computer, che gli permetteva di interfacciarsi con il software del suo robot. Attese qualche istante l’avvio del sistema operativo, prendendo per l’ennesima volta l’appunto mentale di dover passare al più presto da un hard disk a un SSD, e finalmente lo schermo gli restituì le infinite linee di codice che rappresentavano la programmazione della più complessa intelligenza artificiale mai realizzata dall’uomo.
Scorse velocemente il codice fino ad arrivare al punto che stava cercando. Fissò lo schermo meditabondo, riflettendo. Aveva programmato il cervello positronico del suo robot per seguire le celebri Tre Leggi della Robotica, naturalmente: Asimov poteva essere stato “soltanto” uno scrittore di fantascienza, ma aveva creato tre principi estremamente validi. Era il momento di testare le Tre Leggi in un progetto di robotica reale, e il Professore non aveva dubbi che sarebbero state un successo.
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Quello che gli creava dubbi, però, era il successivo blocco di codice, su cui stava lavorando ormai da giorni. L’ambiente ostile in cui avrebbe calato la propria creazione richiedeva ulteriori regole, e lui faticava a trovare la giusta formulazione. Le Tre Leggi erano infinite sequenze di formule matematiche; il Professore riusciva a capirle, naturalmente, ma aveva scoperto che la sua mente faceva meno fatica a ragionare su di esse in versione concettuale, per questo se le era scritte, in italiano semplice, su un blocco di appunti vicino alla tastiera:

  • Prima Legge: un robot non può recare danno ad un essere umano o, tramite inazione, permettere che un essere umano patisca danno.
  • Seconda Legge: un robot deve obbedire agli ordini degli esseri umani, fintanto che tali ordini non siano in conflitto con la Prima Legge.
  • Terza Legge: un robot deve preservare la propria esistenza, fintanto che questo non entri in conflitto con la Prima o la Seconda Legge.

A seguire, sul blocco c’erano scribacchiati alcuni dei tentativi di formulare altre leggi: “quando è al Lucca Comics&Games, un robot deve sedersi e riposare ogni volta che è possibile farlo, purché questo non sia in conflitto con la Prima, la Seconda o la Terza Legge”, “quando è al Lucca Comics&Games, un robot deve mangiare e bere ogni volta che è possibile farlo, purché questo non sia in conflitto con la Prima, la Seconda o la Terza Legge”…ma nessuna di queste soddisfaceva pienamente il Professore. Per l’ennesima volta, l’uomo strappò il foglio con i suoi appunti e lo lanciò rabbiosamente nel cestino sotto la scrivania. No, si disse, doveva trovare un altro approccio.Picchettando nervosamente le dita sulla scrivania, si indusse a fare mentalmente un passo indietro, ad osserva il problema con distacco. Aveva costruito il più avanzato supercomputer del mondo. Con istruzioni sufficientemente chiare sulla sua missione, doveva avere fiducia che se la sarebbe cavata. In fondo, l’esecuzione degli ordini ricadeva nella Seconda Legge, quindi si trattava solamente di dotare il robot di tutti gli strumenti necessari.
Annuì. Forse era sulla strada corretta. Innanzitutto, la mappa. Sul secondo schermo del suo computer era visualizzato il sito della fiera, con la mappa interattiva. Ne fece una copia e la inserì nei banchi di memoria del robot. Naturalmente la sua creazione era dotata di un collegamento ad internet, 4G, ma sapeva per esperienza che l’enorme massa di persone avrebbe facilmente sovraccaricato le linee, ed era preferibile quindi portarsi dietro delle copie offline di tutto il materiale più importante.
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Caricò nella memoria del robot anche l’intero programma degli eventi, con i profili degli ospiti e gli orari. Parte della missione era partecipare a quanti più firmacopie possibili, ed era fondamentale quindi che il robot sapesse esattamente dove andare, e con quanto anticipo.
Dopodichè, il Professore si prese un istante per ragionare sulla logistica: quale mezzo di trasporto era il migliore? Probabilmente il treno, si disse. Viaggiare in auto sarebbe stato comodo, perlomeno all’andata…ma il ritorno avrebbe probabilmente consumato gran parte della carica residua del robot, se la sua memoria di tratti infiniti di coda sull’Autostrada della CISA, la domenica sera, erano di qualche indicazione. Presa quella decisione, programmò tutti i dati dell’orario di Trenitalia nel cervello del robot, così che potesse essere consapevole, in tempo reale, di ritardi e altri problemi.
Per quanto riguardava l’alloggio, probabilmente era ormai tardi per trovare una stanza in città. Poco male. Inserì nei banchi di memoria i cataloghi dei migliori aggregatori di alberghi, affittastanze e ostelli nel raggio di chilometri da Lucca. Il Professore si prese un istante per pensare con nostalgia alla volta in cui dovette spendere tre notti dormendo sul sedile della sua auto, durante uno sventurato Lucca Comics&Games di…oh, ormai quasi dieci anni fa. Quando il calore del ricordo si esaurì, l’uomo ebbe un brivido. Aveva giurato a sé stesso che non avrebbe ripetuto quell’esperienza.
Il Professore trascorse qualche altra ora programmando il software del suo robot, in particolare prevedendo una lista di priorità: le mostre di Palazzo Ducale; la self area, in Piazza della Caserma; i due stand di No Lands Comics, nel Padiglione del Giglio e nel Padiglione Carducci; gli incontri di Comics&Science, dispersi fra Palazzo Ducale e l’Auditorium San Girolamo; e naturalmente tutti gli incontri di Orgoglio Nerd e Tech Princess nel loro padiglione in Piazza della Caserma, con i firmacopie di Leo Ortolani, Zerocalcare, Gipi e tanti tanti altri.
Soddisfatto, tornò poi al tavolo di lavoro e procedette all’ennesimo test degli accessori: dispositivo contenitore monospalla realizzato in kevlar, impermeabile oltre che antiproiettile, dove riporre fumetti e gadget acquistati; depuratore di acqua piovana, prevista abbondante per quell’anno; minicassaforte per contenere gli indispensabili contanti ma anche Postepay, Bancomat e un paio di carte di credito, per sicurezza; sfollagente pneumatico (il Professore si era premurato di specificare che i cosplayer, a Lucca, non dovessero venire considerati “umani” per quanto concerneva l’applicazione della Prima Legge). C’era tutto.
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L’uomo fece un passo indietro, pensando a una frase storica da pronunciare in quel momento cruciale. Poi scosse la testa, scacciando il pensiero con fastidio: era un uomo di scienza, non un poeta. Si decise: con cautela chiuse il cranio per proteggere il cervello positronico, poi sganciò il sottile cavo di alimentazione del robot, verificando con soddisfazione che la spia indicava la carica massima, e infine, con il cuore che, suo malgrado, gli batteva forte, digitò il codice di cinque cifre per lo sblocco e l’accensione (lo stesso della sua ventiquattrore, per comodità), e una raffica di luci e segnali sonori lo raggiunse mentre il prodigioso macchinario lentamente prendeva vita.
Fu con un moto di orgoglio quasi paterno che il Professore assistette mentre i servomeccanismi del robot ne spingevano il tronco in posizione seduta. La testa metallica ruotò verso l’uomo, in un’implicita attesa di istruzioni.
-Ben svegliato, figlio mio-, disse emozionato il Professore.
-Ecco la tua missione: ti recherai a Lucca, dal 31 di ottobre fino al 4 di novembre. Visiterai la più importante fiera del fumetto italiana. Ti mescolerai alla gente, sgomiterai, ti stancherai al posto mio. Ne godrai, ti divertirai, comprerai tante cose meravigliose. Avrai fame, ti pioverà addosso, dormirai poche ore per notte e lunedì, quando tornerai, sarai completamente scarico, privo di energie. Ma sarai soddisfatto, entusiasta. I tuoi occhi cibernetici brilleranno di allegria e di nostalgia, perchè non vedrai l’ora dell’anno prossimo, non vedrai l’ora di tuffarti di nuovo fra i cosplayer che intralciano il traffico, di affrontare code interminabili per incontrare un autore, di sovraccaricare i tuoi sensori audio-video con più stimoli di quanti tu possa processare. Hai compreso quale sia la tua missione?”
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Il robot stette fermo per un lungo istante, poi, con un ronzio metallico, i perni posti sul suo collo gli permisero di compiere un gesto molto umano, seppure meccanicamente. Il droide aveva annuito.
Il Professore non riuscì a impedirsi di sorridere.
-Allora, và!-, gli disse, -Mettiti in viaggio, registra la tua esperienza e torna da me.
Il robot si girò e scese dal tavolo, con un tonfo atterrò sul pavimento della stanza, poi proseguì la sua traiettoria, diretto verso l’uscita del laboratorio. L’ultima esclamazione che sentì prima di emergere nel mondo fu un ultimo, accorato appello del proprio creatore.
-E mi raccomando, quando arrivi scrivimi!

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Gabriele Bianchi

Lettore, giocatore, conoscitore di cose. Storico di formazione, insegnante di professione, divulgatore per indole. Cercatelo in fiera: è quello con la cravatta.

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