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Gli insulti fanno “male” quanto uno schiaffo

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Una nuova ricerca ha concluso che ricevere un insulto viene vissuto in maniera analoga al ricevere un “piccolo schiaffo in faccia”. Gli scienziati sono arrivati a questa conclusione studiando la reazione di un gruppo di partecipanti. Ecco i dettagli.

Gli insulti come un piccolo schiaffo in faccia

I ricercatori dietro allo studio hanno preso 79 partecipanti, tutte donne. Le hanno collegate a degli elettrodi per l’elettroencefalogramma (EEG) e per la misurazione della conduttività della pelle. Hanno poi letto ripetutamente una serie di frasi di tre diverse tipologie: insulti, complimenti e neutre, frasi che descrivevano qualità oggettive.

Per capire se l’effetto della frase cambiava con il soggetto della frase, metà delle frasi usava il nome del soggetto monitorato, mentre l’altra metà usava un altro nome. Le frasi sono state dette senza un’interazione diretta tra esseri umani. Alle partecipanti è stato detto che le frasi provenivano tra tre uomini diversi.

I risultati

Nonostante le condizioni estremamente artificiali (un laboratorio, senza vere interazioni umane, frasi attribuite a sconosciuti immaginari), gli insulti hanno comunque fatto male. A prescindere dal soggetto della frase, e anche dopo diverse ripetizioni, la reazione è risultata evidente.

L’EEG mostra ad esempio un segnale molto forte già dal primo insulto, che non cala anche dopo diverse ripetizioni. L’intensità della reazione è stata descritta dai ricercatori come “un piccolo schiaffo in faccia“. Il cervello delle partecipanti si attiva all’ascolto di frasi negative, a prescindere dall’oggetto degli insulti, e mantiene questa attenzione. La sensitività è maggiore per le parole negative rispetto a quelle positive.

Il passo successivo riguarda il capire se è possibile replicare l’esperimento in condizioni più realistiche, meno artificiali. Il problema in questo senso è però di tipo etico: è giusto sottoporre i partecipanti ad un’esperienza così stressante come quella di ricevere insulti “reali” o comunque in contesti meno “sterilizzati” e controllati? Noi non abbiamo una risposta, ma i ricercatori ci stanno invece pensando.

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