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Intervista a Anthony Daniels: l’anima di un droide protocollare

Alla Starcon 2017 uno degli ospiti di punta è stato Anthony Daniels, l’attore di formazione teatrale che ha prestato voce e corpo al droide C3PO della saga di Star Wars.
Longilineo ed elegante, già dal suo arrivo si presenta come un uomo dalla personalità peculiare, preciso e professionale, con un garbo meticoloso e un po’ freddo.
Attento ai dettagli, il suo panel sarà uno show a tutti gli effetti: tutto deve essere pronto e impeccabile perché gli spettatori possano godersi il meglio della sua performance. Arrivati alle domande dal pubblico, scende tra le fila portando il racconto quanto più possibile vicino ai fan. 
Di tanti panel cui ON ha assistito, pochi sono stati di attori così in controllo di ogni singolo aspetto, dall'inquadratura delle telecamera durante le interviste, alla disposizione delle sedie che occuperà il pubblico.
Abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo e intervistarlo in una conferenza stampa riservata, dove ha parlato molto del suo rapporto con i fan e poco di quello con Kenny Baker e Carrie Fisher: preferisce che sia la loro performance e il ricordo del pubblico a preservarli.
Ci ha parlato della sua volontà di fare l’attore fin da quando era bambino, ma che per potersi conquistare il diritto di fare quello che voleva è prima dovuto passare dalla scuola di legge e da un corso di gestione alberghiera.
ON: Qual è stata la sua reazione quando ha saputo che avrebbero fatto altri film di Star Wars?
AD: Quando ho saputo che Disney aveva comprato SW ero sorpreso ma anche colpito perché la Disney è un’azienda grossa e potente. E poi ho ovviamente pensato “Hhm..questa non è di certo la fine. Perché avrebbero speso così tanti soldi altrimenti?” Mi chiedevo cosa avrebbe portato questo passaggio di proprietà. 
Ma sarò onesto e vi dirò che le mie reazioni sono state di due tipi: la prima è stata di emozione perché sarebbe stata una cosa grossa ed eccitante. La seconda era più sul…”Oh no, di nuovo…, sarà un sacco di lavoro”. Perché per me recitare in quel costume è molto più difficile che recitare in abiti normali, ma conosco molto bene il mio personaggio. E poi ho incontrato JJ Abrams per The Force Awakens
È stato meraviglioso lavorare con lui e con il cast e i tecnici perché sono tutti fan di Star Wars. C’era un’atmosfera bellissima sul set. Erano tutti felici ed emozionati ad essere lì e c’era molto rispetto per il lavoro di tutti.

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ON:  Spesso si è detto che Lucas abbia preso ispirazione da un film di Kurosawa: La Fortezza Nascosta, in cui tra l’altro ci sono due personaggi, i due ladri, che ricordano molto due noti droidi della saga di SW. Si è ispirato in qualche modo ai personaggi per il rapporto tra C3PO e R2D2?
AD: No il film di Kurosawa non è stata per me un’ispirazione diretta. Ma una settimana prima delle riprese lavoravo in una commedia a Londra ogni sera, Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard.
Una settimana dopo eravamo nel deserto in Tunisia a iniziare le riprese per A New Hope, ma solo 5 anni dopo quell’esperienza ho realizzato la connessione, collegando i punti.
Rosencrantz e Guildenstern, C3PO e R2D2. 
Dalla parte a teatro aveva riportato quel cameratismo nella relazione con il droide.
E io facevo Guildenstern, quello più cerebrale e intellettuale, e Kris Timothy faceva Rosencrantz quello meno intellettualoide ma con più successo e fortuna.
A livello di subconscio quindi ho fatto due ruoli molto diversi con grandi punti in comune e me ne sono reso conto solo dopo. Ma alla base in comune del lavoro di Lucas, di Stoppard e Kurosawa c’è questa idea che per chi comanda e controlla, la gente comune non conti e non abbia importanza.
Noi, la gente normale, dobbiamo venire a patti con i grandi eventi globali su cui non abbiamo controllo, quindi è l’immagine dell’uomo comune delle persona ordinaria.
Per concludere vi racconterò una storia che non mi fa molto onore.
Stavo facendo un evento in Germania e c’era la legione 501 e vedendoli lì, ho pensato che fossero un po’ matti a voler passare tutto quel tempo vestiti da guardie imperiali. Così mi sono avvicinato e ho chiesto che cosa facessero nella vita, aspettandomi che non combinassero nulla, passando il tempo a giocare. Uno era un famoso scenografo, un altro un chirurgo e mi sono sentito subito molto più umile. È stata un’esperienza illuminante. Lo facevano per divertirsi, rilassarsi dalle loro vite impegnative, e per un senso di cameratismo, per stare insieme a persone con cui condividono una passione.
Vorrei che ci fosse una parola migliore di “fan”, una parola che suoni più rispettosa, che trasmetta tutta la passione, il calore e l’affetto che queste persone nutrono per la saga di SW e i suoi personaggi.

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Francesca Giulia La Rosa

Trekker, whovian. Non amo le etichette (a parte queste?). Traduttrice, editor a caccia di errori come punti neri nel tessuto della realtà. Essere me è un’esperienza profondamente imbarazzante.

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