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Intervista a Federico Faggin, inventore del microprocessore

Campus Party è ormai finita, ma questo non è un buon motivo per smettere di parlarne. In particolare oggi vogliamo riportarvi una delle più emozionanti fra le interviste che abbiamo avuto il piacere di tenere durante l'evento, quella a Federico Faggin. 
Faggin è uno scienziato e imprenditore che, nel suo campo, non ha affatto bisogno di presentazioni. Nel 1968 inventò la tecnologia MOS con porta di silicio, che permise lo sviluppo dei microprocessori, e nel 1986 fondò Synaptics, azienda che sviluppò per la prima volta touchpad e touchscreen, rivoluzionando il nostro modo di interagire con le macchine. Qui sopra trovate in versione integrale il suo speech a Campus Party Italia, a questo link il podcast della nostra intervista, e qui di seguito la trascrizione.

GR: Professor Faggin, la prima domanda che a me è venuta molto spontanea leggendo tutte le cose che ha fatto è questa: ai tempi del microprocessore, quanto era prevedibile che oggi ci si sarebbe trovati ad affrontare questioni come la consciousness di una macchina? Se l’aspettava? E com’è ora trovarsi a fare qualcosa di così differente da ciò che era?

FF: È una bella domanda. No, non me l’aspettavo nemmeno un po’. Fra l’altro a quel tempo io avevo essenzialmente comprato la visione della scienza, che la consapevolezza è qualcosa di epifenomenale, ma non ci avevo mai pensato in realtà, non era una cosa che mi interessava più di tanto perché ero dedicato a fare le cose che facevo. Avevo 28 anni quando mi sono messo a progettare il microprocessore, quindi ero preso anima e corpo in un lavoro che era molto importante e avrebbe aperto strade nuove, anche se non ho previsto la gran parte dei risultati dovuti ad esso. Per esempio il telefonino aveva bisogno di un computer in tasca per esistere, bisognava riusare lo spettro elettromagnetico per avere spazio per tutti, e quindi era necessario un computer che potesse fare la gestione di questo cambiamento di frequenze che doveva avvenire automaticamente. 
Oppure internet, ad esempio. Non era neanche nelle idee degli scrittori di fantascienza. Naturalmente non il fatto che si potesse fare comunicazione da computer a computer, quello era ovvio, già allora si facevano esperimenti perché era importante. Ma cosa si fa quando ognuno di noi ha un computer? L’aspetto sociale di internet, le possibilità che emergono avendo milioni di persone connesse. Cosa vuol dire? La realtà di internet ha reso possibili cose come Google: uno ha in mente una parola e in una frazione di secondo ottiene tutto ciò che è stato scritto su quella parola o su quella frase, cose impensabili quando ho sviluppato il microprocessore.
Quindi devo dire che la fantasia umana, anche se buona, e io avevo una notevole visione e fantasia, è insufficiente a predire quello che succederà venti o trent’anni dopo. Non cent’anni dopo, venti o trenta. E con il progresso della tecnologia anche la predizione si accorcia, quindi oggi è difficile prevedere ciò che succederà fra dieci o vent’anni.
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GR: Infatti un’altra cosa che volevo chiederle è proprio questo. Insomma, è difficile inventare o prevedere una cosa che non è stata inventata. Però mi chiedo, siccome il microprocessore ha un po’ cambiato il mondo è permesso cose che altrimenti non sarebbero state possibili, quali sono le necessità che abbiamo ora? Qual è la più impellente per cui verrà inventato, in senso metaforico, un secondo microprocessore? 

FF: Il mio sogno, nell’ ’86, di inventare sistemi che imparano da soli, sarà nelle carte, ma con molte limitazioni. Non sarà come creare un’intelligenza vera, consapevole, ma si inventerà un’intelligenza capace di riconoscere patterns e oggetti in una maniera impossibile oggi.
Avrà bisogno di un training supervisionato e quindi limitato ad una collezione grandissima di modelli, a cui verrà assegnato un nome e tutta una procedura per fare il training del neural network. Il microprocessore che impara da solo, che era la mia idea di trent’anni fa, che ho poi scoperto essere impossibile con la tecnologia e la comprensione del problema che avevamo allora, sarà possibile nei prossimi venti o trent’anni. Questo cambia un po’ le regole del gioco, anche se non cambia il gioco fondamentale. Non permetterà ciò che molti pensano avverrà, ovvero creare computer consapevoli. Ne ho parlato molto a lungo nello speech di oggi, e penso che il computer classico non potrà mai essere consapevole. Questa capacità umana che dà umanità è fondamentalmente irraggiungibile in una macchina, mentre la vita può essere ed è consapevole.
GR: L’ultima domanda che le voglio fare è forse una domanda più a lei come persona che come scienziato. Qui a Campus Party è pieno di giovani che da grandi vorrebbero "inventare il microprocessore", e a volte è facile sentirsi piccoli, e pensare “ho provato a fare una cosa, ho avuto un’idea ed è fallita”. Qual è stato, se c’è stato, il suo più grande fallimento? Ha mai avuto un’idea che però non è andata in porto?

FF: Per esempio ho fallito nel mio desiderio di creare un microprocessore che impara da solo, ma ho capito prima di abbandonare il campo che dovevo trovare un’alternativa, altrimenti gli investitori che avevano investito su di me avrebbero dovuto chiudere la ditta, e sarebbe stato un fallimento. Invece io ho visto che c’era un problema che si poteva risolvere con la tecnologia e le capacità che avevamo nel piccolo gruppo di 20/25 persone che avevo a quel punto. Ho visto che c’erano questi computer portatili, si chiamavano laptop allora, e come pointing device avevano un mouse, però un mouse capovolto, sostanzialmente una pallina che si girava. Lei è troppo giovane per ricordarsi, parlo dell’ ’87, ’88. Non solo questo oggetto era troppo ingombrante, e quindi non si poteva ridurre di dimensioni, ma soprattutto si sporcava subito con il grasso delle dita. Bisognava togliere la pallina e pulirla con l’alcol, era una soluzione non buona. Quindi ho detto ai cinque più creativi dei miei ragazzi “troviamo una soluzione a questo problema. Una soluzione a stato solido, molto sottile, funzionale, che costi uguale o meno”. Nel giro di tre mesi abbiamo inventato il touch pad e il touch screen, che ha cambiato completamente il modo in cui ci interfacciamo con le nostre macchine. Quindi ciò che poteva essere un fallimento totale, è diventata una ditta che oggi ha due miliardi di dollari di fatturato all’anno.
GR:Penso non ci sia nulla di più di ispirazione, grazie mille, è stato un vero piacere. 

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Giada Rossi

Laureata in Astronomia, aspirante Astrofisica. Curiosa di natura. Scrivo soprattutto di scienza, ma preferisco parlare di cani buffi.

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Commenti

  1. Grazie Sophia per il commento 😉
    A dire il vero 10 miliardi di anni fa non esisteva nemmeno il nostro sistema solare, che secondo le stime dovrebbe avere poco meno di 5 miliardi di anni.

  2. Caspita…!!! chiedo venia per la mia ignoranza in materia. ti ringrazio per la precisazione,Sonia e complimenti per questo bellissimo articolo =)

  3. “con il progresso della tecnologia anche la predizione si accorcia, quindi oggi è difficile prevedere ciò che succederà fra dieci o vent’anni”: quindi già da solo annulla la possibile veridicità dell’affermazione successiva “il computer classico non potrà mai essere consapevole”. Al massimo potrebbe dire: a oggi è difficile poter prevedere se un computer classico potrà mai essere consapevole.

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