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Kitchen

La mattina in ufficio era stata un inferno.
L'atmosfera era così tesa che quasi non si riusciva a respirare, il suo sguardo continuava a saettare verso la finestra chiusa, come se aprirla fosse l'unica cosa che li avrebbe aiutati tutti.
Aveva cominciato a fare quel lavoro qualche mese prima, spinta più dalla necessità più che dall'interesse, si era ritrovata tra colleghi simpatici ma distanti e superiori che la guardavano come se fosse un foglio di un vecchio archivio impolverato.
Si aggiravano tutti con passi frettolosi, sui pavimenti neutri tirati a lucido, le tecnologie all'ultima moda. Pur rendendosi conto che nessuno la degnava di particolare attenzione aveva l'inconscia convinzione che fossero sempre attenti a coglierla in errore, come se uno dei pochi piaceri rimasti in quell'ambiente fosse veder fallire i nuovi… E le pareti di vetro che non lasciavano spazio all'immaginazione non aiutavano di certo.
Nell'istante in cui era scattata l'ora del pranzo aveva accantonato tutti i documenti che stava esaminando e aveva indossato il cappotto con movimento rapido e fluido. Si era data un contegno e salutando a mezza voce non si era guardata indietro salendo sull'ascensore.
Il palazzo di cui la sua azienda possedeva tre piani era in una via del centro città, quindi la strada era costellata di ristoranti di ogni genere, negozi che vendevano oggetti che solo i ricchi potevano comprare (per costi e gusti) e finte aree verdi in cui i bambini non potevano giocare e non si poteva passeggiare col cane… Forse era impossibile persino sedersi sulle panchine.
Qualche giorno prima aveva scoperto una via secondaria, nascosta accuratamente per cancellarne l'esistenza, e fu lì che si diresse con decisione.
Aveva provato il piccolo bar a conduzione familiare, la trattoria con l'oste che pareva arrivare da altri tempo e ora era incuriosita dal ristorante giapponese situato quasi alla fine del vicolo cieco. Il tutto era nato dal libro che stava leggendo, Kitchen di una certa Banana Yoshimoto, prestito dell'amica di sua cugina. Non si era mai interessata alla letteratura asiatica, ma il romanzo era breve e il volume leggero, perfetto per essere portato in giro nella borsa nei tratti da casa a lavoro e ritorno.
Il posto era un buco, con un'enorme insegna di legno su cui erano incisi caratteri che non riusciva a leggere; ebbe un attimo di titubanza. Il gorgoglio del suo stomaco la costrinse a farsi avanti.
Era deserto, ma pervaso da un piacevole tepore.
La prima cosa a colpirla fu un odore particolare, estraneo a tutti i profumi che aveva sentito fino a quel giorno. 
Era indecisa se sedersi o meno quando da una porta di cui non si era nemmeno accorta giunse una donna di un'età indefinibile, un sorriso sul volto, e rughe d'espressione intorno agli occhi scuri.
“Prego prego accomodati” il tono di voce era caldo come il locale, l'accento straniero, potenzialmente giapponese.
Le indicò un posto vicino al bancone. Aveva davanti un contenitore con diverse paia di bacchette nuove, varie salse ignote e una montagnetta di tovaglioli bianchi. La donna le versò subito un bicchiere d'acqua fresca e le porse un menù “Fai pure con calma”.
Il foglio era scritto a mano, alternava caratteri romani a ideogrammi e elencava una serie di proposte del giorno. Scelse un piatto di ramen, particolari spaghetti in brodo con carne e uova.
Dopo aver consegnato l'ordine ad un cuoco fantasma, la donna tornò, rimestò un po' tra i piatti e confezioni e le mise davanti una ciotolina di snack “Assaggiali, sono leggermente piccanti” e di nuovo le sorrise. Anche la ragazza sorrise.
Scambiarono due chiacchiere, poche parole senza grande importanza ma che permettono al corpo e alla mente di rilassarsi. Quando il cibo fu pronto, la proprietaria si allontanò per lasciarla mangiare con tranquillità. Lei tirò fuori il libro e alternò un boccone ad una pagina, il brodo caldo le scioglieva i muscoli contratti ad ogni sorso.
Quando uscì dal locale, dopo aver pagato, sentì di aver recuperato tutte le forze, tanto che quasi avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa.
L'incredibile gentilezza della donna era stata come un balsamo per il suo spirito affaticato. Il calore che avvertiva non proveniva solo dal piatto bollente che aveva gustato, ma anche da un contatto umano, dalla dolcezza che una completa sconosciuta le aveva donato gratuitamente.

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