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Valiant Hearts: i videogame posso insegnare?

È passato un secolo dallo scoppio della prima Grande Guerra e ormai sono rimasti in pochi ad aver vissuto sulla loro pelle l'orrore di quei disastrosi fatti storici. Tutti noi li conosciamo solo attraverso libri e documentari, che ci riferiscono la mastodontica ecatombe che ebbe luogo dal 1914 al 1918. Eppure poco si parla della Prima Guerra Mondiale, nonostante proprio durante quel conflitto siano accaduti fatti destinati a cambiare il mondo per sempre. Si è sempre preferito parlare della guerra successiva, la Seconda, forse perché ha consegnato alla Storia figure dalla smodata efferatezza come Hitler e i suoi sottoposti. Gli schermi, le pagine dei fumetti e dei libri hanno trascurato, in parte, la Prima Guerra Mondiale, a parte qualche grande eccezione come “La Grande Guerra” di Mario Monicelli.

Tutto questo non toglie nulla alla tragedia che ha consumato l'Europa cento anni fa. Per il centenario del conflitto, UBI-art (il ramo di Ubisoft creatore degli splendidi Rayman Origins e Child of Lightha prodotto un Valiant Hearts – The Great War, un'esperienza a metà tra il tributo storico e il videogioco.

Il gioco ha visto la luce a Giugno ma ieri abbiamo partecipato a un evento milanese: Special guest dell’appuntamento Yoan Fanise e Simon Choquet-Bottani di Ubisoft Montpellier, lo studio di sviluppo che ha creato Valiant Hearts a moderare invece Emilio Cozzi, Vicedirettore di Zero ed esperto di cultura videoludica per Il Sole 24 Ore, Eurogamer, Wired, Cineforum, Micromega e Rolling Stone. Oltre a studenti di ogni età, dai liceali agli universitari, erano presenti anche Dario Maggiorini e Laura Ripamonti, Co-direttori del Laboratorio PONG – Playlab for inNovation in Games nel Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Milano. Tra gli interventi, quelli di Davide Gadia, esperto di grafica e animazione del Dipartimento di Informatica, Maresa Bertolo, esperta di game design del Dipartimento di Design al Politecnico di Milano, Francesco Tissoni, umanista esperto di digital storytelling al Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano, e Alfredo Canavero, docente di storia contemporanea impegnato in progetti di didattica sulla Prima Guerra Mondiale al Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano.

Tutti per rispondere a una grande domanda: un videogame può insegnare? Dopo aver ben riflettuto abbiamo deciso di condividere con voi il nostro parere.

Valiant Hearts si presenta al publico (di 360, One, Ps3 e 4, iOS e PC) con un'ispirata grafica fumettistica tipica dei lavori di UBI-art. Gli scenari sono ricchissimi di dettagli, così come i protagonisti e ogni personaggio che si muove davanti agli occhi del giocatore: le macerie delle case, delle cattedrali e le trincee sono disegnate con scrupolo certosino: più volte ci siamo fermati ad ammirare la bellezza dei particolari che sul nostro schermo raccontano storie non dette, come un flauto che spunta dallo zaino di un soldato, o una bambina piangente fra le macerie.

I colori pastello rendono il gioco molto simile ai film di animazione della Disney quando ancora erano disegnati a mano, anche se ciò che viene mostrato è ben più drammatico di quanto il colosso dell'intrattenimento statunitense abbia mai portato su schermo. Questa scelta è ben funzionale, dato che consente agli sviluppatori di parlare di eventi storici terribili senza però mai utilizzare immagini crude.

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E proprio le storie narrate da Vailant Hearts sono affascinanti e vanno a intrecciare gli eventi personali dei protagonisti con quelli della Storia con la “S”maiuscola, che hanno portato il caos e la morte di decine di migliaia di soldati e civili. La narrazione scorre fluida mantenendo alto l'interesse del giocatore, senza mai avere momenti di in cui il ritmo ristagna o è troppo accelerato, per poi giungere a un finale che a noi è parso perfetto.

Valiant Heats ha uno stile di gioco piuttosto inusuale, una sorta di avventura punta-e-clicca con uno scorrimento orizzontale, dove il giocatore si troverà a muovere i quattro protagonisti (e il cane) lungo gli scenari di gioco, alla ricerca dei oggetti utili alla risoluzione delle situazioni e allo sbloccaggio di aree di gioco. E qui, purtroppo troviamo la prima vera pecca del gioco: enigmi e ostacoli sono piuttosto facili da risolvere e non pongono mai una sfida mentale troppo ardua per l'utente, in quanto spesso si tratta solo di trovare l'oggetto giusto, azzeccare una sequenza o una combinazione in base a indizi sparsi per i livelli. Non solo: il gioco prevede una serie di suggerimenti (che possono essere disattivati a piacere) che vengono sottoposti all'utente nel caso passi troppo tempo (tre minuti) senza progredire. Rimanere bloccati è quindi praticamente impossibile.

Ma se tutto questo fosse voluto? L'aspetto che noi di ON abbiamo apprezzato di più, però, è qualcosa che va oltre la grafica e il gameplay, ma si tratta dei contenuti: non solo a ogni scenario il gioco propone vere fotografie datate 1914-1918, ma anche descrizioni particolareggiate della vita nelle trincee, dei mille espedienti che i soldati erano costretti a usare per sopravvivere in quell'inferno e addirittura trascrizioni di vere lettere mai consegnate divenute reperti storici. Ogni oggetto trovato su quei campi di battaglia scuri e che non perdonano ci porta uno spaccato di cosa significhi essere costretti lontano da casa, per combattere una guerra che non appartiene a nessuno, in cui troppe persone perdono la vita, indipendentemente dalla bandiera per cui combattono.

È lo spirito che traspare dall'insieme di tutti gli elementi di cui è composto Valiant Hearts a renderlo una piccola perla: quello spirito che parla dei momenti più bui della storia con un linguaggio che li rende comprensibili a tutti, per fare in modo che anche se sono passati cento anni, non si possa dimenticare ciò che è stato. E quando noi abbiamo terminato di giocare a questa vera e propria opera d'arte, c'era una frase che ci risuonava nella mente, una citazione de La Grande Guerra di Mario Monicelli:son secoli che la gente si scanna con le guerre e non è mai servito a niente. Un uomo, dico io, non c'ha mica il diritto di ordinare a un altro uomo di andare a crepare.

Combattere una guerra senza sparare un colpo, quindi si. Un videogioco può insegnare.

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