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Accetti i termini delle condizioni? Ecco cosa succede quando cliccate ‘si’.

Chi di voi ha visto il documentario “Terms and Conditions May Apply” diretto da Cullen Hoback e uscito nel 2013,  sa di cosa stiamo parlando: ci teniamo a sgombrare il campo da ogni dubbio subito, ci è piaciuto e anche tanto. Tale opera non è particolarmente conosciuta e quindi, ci siamo decisi a parlarne.

Partiamo dal fatto che abbiamo apprezzato una scelta che potrebbe non piacere a tutti, parliamo di quella che riguarda l’inserimento di clip di film e cartoni animati, volti ad allentare un po’ la tensione, evitando quindi di rendere troppo cupa e opprimente la visione del film, e questa è sicuramente una scelta stilistica consapevole, volta anche all'immediatezza e alla comprensione se pensiamo che il documentario si apre proprio con un clip animata originale che spiega le differenze in maniera semplicistica, ma efficace, tra mondo reale e web.
La clip centra il punto ed è una dichiarazione di intenti,perché fa comprendere come si tratteranno argomenti seri, non lesinando tuttavia gli aspetti paradossali che determinate questioni portano in dote, facciamo riferimento ad esempio alla questione Aol.
Il sito internet research.aol.com, infatti, anni fa ha rilasciato alcune ricerche di utenti anonimi del provider americano, tra tutte spiccavano quelle che riguardavano un utente che aveva cercato più volte informazioni su foto di decapitati e su come uccidere la propria moglie, il documentario chiarisce la questione, si trattava di uno degli sceneggiatori di Cold Case, la famosa serie statunitense sui crimini irrisolti. Una situazione del genere ci fa capire quanto siano da prendere con le pinze anche le parole di ricerca usate da un utente su internet e come un sistema che magari sia suscettibile solo a determinate parole possa essere oltre che lesivo della privacy, anche un completo buco nell'acqua.

Paradossale è anche il caso del ragazzino delle medie che sarebbe stato trattenuto da polizia e Fbi perché su facebook aveva detto a Obama di stare attento ai kamikaze subito dopo la morte di Osama Bin Laden,quello che sembrerebbe un semplice richiamo all'attenzione, infatti, non è stato preso subito per quel che è, ma il caso sembrerebbe essere stato trattato come se quel post fosse una seria minaccia alla vita del presidente, come se il ragazzino potesse far parte di qualche organizzazione terroristica. Il documentario nonostante raccolga molti interventi,episodi e informazioni, non è mai confusionario, ma procede in maniera sistematica e ordinata, elemento che ci fa apprezzare il prodotto ancora di più, perché risulta godibile anche per chi non è fondamentalmente un appassionato dell’argomento e tutti gli episodi raccontati, ovviamente non possiamo raccontarli tutti, sono decisamente interessanti, per quanto si siano cercati quelli più originali e paradossali. 

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Interessanti, come sempre alcuni dati numerici, se leggessimo tutte le informative della privacy e i termini di servizio,perderemmo in media circa 180 ore l’anno, diciamo che però probabilmente potrebbe essere una buona idea usare parte di queste ore in questo modo, dato che secondo il “The Wall Street Journal” i consumatori americano spendono 250 miliardi in più l’anno per le scritte in piccolo, non proprio una cifra risibile.
Perché il problema serio è che l’utente medio non presta la minima attenzione a ciò che sottoscrive nell'atto di registrazione di un sito,né alle impostazione della privacy dello stesso, così il più delle volte vengono lasciate quelle di default, che ad esempio nel caso di facebook sono:tutto (o quasi) pubblico. Secondo noi è lì che risiede il problema, deve essere anche l’utente ad avere maggiore consapevolezza nell'atto dell’iscrizione e nell'uso dei siti e dei social network, perché l’indifferenza a queste problematiche a lungo andare potrebbe portare problemi seri.

Paradossale è ciò che ha fatto Gamestation, per un giorno, all'atto di sottoscrizione gli utenti concedevano nei termini di servizio la propria anima in maniera permanente, ben settemila persone hanno accettato il contratto senza battere ciglio e senza probabilmente averlo letto.
Terms and Conditions May Apply ci tiene ancora una volta a sottolineare quanto sia necessario prestare attenzione a come ci muoviamo sul web, a come gli interrogativi e le questione (irrisolte) sulla privacy non siano problemi unicamente cari ai complottisti o che perlomeno non dovrebbe essere cari solo a loro, ma all’intera comunità del web, insomma ci fa capire quanto sia necessaria una sensibilizzazione su questo tema.
Certo nel film si notano anche alcune tendenze, ma certo sono coerenti con l’intento del documentario, come la volontà di condannare l’amministrazione Bush e il suo Patriot Act che da molti è considerato profondamente lesivo della privacy delle persone, così come l’operato della Nsa sempre più sotto la luce dei riflettori a causa dello scandalo Datagate; del resto è ravvisabile anche una delusione verso l’amministrazione Obama, qualcosa che sarebbe potuto essere, ma che invece non è stato con la conseguente rottura di diverse promesse fatte in campagna elettorale. 

Un’altra questione ben ravvisabile dal documentario è la critica ai vari social network, tra cui spicca quella riferita a Facebook colpevole di raccogliere sin troppi dati sui propri utenti proprio grazie ai termini e alle condizioni d’uso del servizio, infatti, la chiosa finale è proprio su Mark Zuckerberg che viene avvicinato in strada e che prova un visibile sollievo non appena pensa di non essere più registrato dalle telecamere, diventando quasi amichevole, perché diciamocelo tutti ci sentiremmo più tranquilli, almeno gli utenti più smaliziati del web, se le nostre ricerche e i nostri dati non corressero il rischio di essere salvati e usati.

La domanda finale sorge spontanea e in maniera piuttosto inquietante: la privacy è morta?

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Un commento

  1. Gli strumenti per difenderci ci sono, se noi siamo pigri e saltiamo a piedi pari i contratti di adesione e poi ci “prendono” più di quello che vogliamo dargli è colpa nostra e solo nostra.
    Oltretutto i contratti di adesione vengono cambiati molto raramente, se non abbiamo la pazienza di leggerci tutto basterebbe una bella googlata per tirare fuori un blog di qualcuno che l’ha fatto e ci mette in guardia.

    La mia opinione è che fintanto che le mie ricerche e dati personali che condivido su internet vengono gestiti in modo anonimo o automatico (come per ricerche di mercato o marketing mirato) non me ne può fregare una cippa di quello che spiano, segreti da nascondere non li ho e se li avessi non sono cosi bacato di mente da sbatterli sulla mia bacheca di Facebook.

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