Intrattenimento

Cloud Atlas: l’intreccio della vita

La prima cosa che pensi vedendo questo film è: questi si stanno divertendo un sacco. E certo, ti sorprende.
Seriamente. Prendi Cloud Atlas come te lo presentano: riadattamento di un romanzo di David Mitchell candidato al Booker Prize, quasi tre ore di film per sei storie in epoche diverse, da metà Ottocento ad un futuro post-apocalittico, premesse che parlano di reincarnazione e temi universali, con la trovata di prendere un cast principale di quindici attori circa e ripeterlo per ogni capitolo… e ti aspetti qualcosa di estremamente serioso. Prendiamo il team di registi: se Tom Tykwer col suo lavoro più famoso – Lola corre – si muoveva tra sorriso e nodi alla gola ma ha comunque toccato storie più tragiche come Il profumo, i fratelli Wachowski sono famosi specialmente per Matrix e il suo cyberpunk messianico e semi-rivoluzionario. Non esattamente qualcosa che non si prendeva sul serio.
Ci si aspettava qualcosa come un The Fountain ancora più magniloquente; e certo, Cloud Atlas non è un film ridanciano o una commedia. E' una storia estremamente ambiziosa che vuole simboleggiare la storia di ogni persona, di bisogni universali. Ma lo fa con inaspettate leggerezze che alla fine sono parte del suo charme.
Si parlava di storie distanti attraverso il tempo, racchiuse in una cornice (che naturalmente diventerà chiara solo nel finale) e per il resto intersecate l'una all'altra. L'amicizia tra un avvocato e uno schiavo nero nell'800, la dolorosa crescita di un giovane compositore negli anni '30, una giornalista sulla traccia di verità scomode nei '70, la fuga di un vecchio editore pieno di rimpianti da una casa di riposo, la presa di coscienza di una clone in una Seoul futura e distopica, l'incontro tra persone di culture distantissime in una terra tornata alle tribù e pochi artefatti del 'passato'.
Come vengono unite è una chiave: il montaggio è uno strumento, uno strumento musicale quasi. La musica gioca un ruolo molto importante nell'intero film, non solo per la forte presenza della colonna sonora e la presenza del Cloud Atlas Sextet che ha la sua importanza di trama, ma anche per la struttura imposta dal montaggio che molto spesso incrocia le storie per aumentare il ritmo o distenderlo,componendole come se fosse appunto un sestetto, un armonizzarsi di sei storie diverse per creare qualcosa di unico. E' un montaggio virtuoso, che aiuta lo spettatore a seguire tutto contemporaneamente senza perdere il filo.
C'è poi un elemento di gioco col cast,di travestimento, che ricopre un grosso ruolo. Un gruppo di attoriregge le parti principali di ogni storia: Tom Hanks, Halle Berry, Jim Sturgess, Jim Broadbent, Hugo Weaving, Bae Doo-Na, Susan Sarandon, James D'Arcy, Ben Whishaw… sottoposti ad una serie di incarnazioni che li stravolgono, li abbruttiscono a volte, abbattono le barriere dell' età, della razza (Halle Berry che diventa bionda e bianca, Sturgess e Weaving con lineamenti a mandorla) e del sesso. Così vediamo Ben Whishaw e Hugo Weaving diventare entrambi donne nell'esilarante capitolo ambientato ai giorni nostri, lo stesso in cui Hanks veste i panni di un irascibile gangster britannico con codino e pizzetto. Sono trucchi (letteralmente) che spesso risaltano, attirano l'occhio, e danno alla sarabanda di storie un tono più leggero. E ti fanno pensare che gli attori e lo staff si siano divertiti parecchio nel tessere tutte queste storie assieme, un piccolo Carnevale mascherato da toni più seri.
C'è una grande cura, anche nell'essere un film dall'impianto quasi classico, con poche scene d'azione mai particolarmente pompate, nessun aggancio al 3D e un susseguirsi di storie classiche e rimandi a diversi generi. Dal film d'epoca al thriller settantiano, da strizzate d'occhio alla fantascienza distopica e alla commedia britannica, diventa anche una collezione di omaggi.
Non è un film perfetto, anche nel cercare di mantenere le promesse o i collegamenti tra le storie; molti di questi sono labili, e per quanto ci siano rimandi alla reincarnazione e la possibilità che alcuni personaggi si ripresentino nel corso delle epoche (non necessariamente con lo stesso volto) questo redattore ha letto molto poco di spirituale, o anche solo di new age, nel film. Sono spesso morali spicciole, lotte di persone eroiche o genuine contro sistemi oppressivi; tanto che le figure antagoniste sono spesso poco approfondite e quasi delle macchiette (con un peccato per il sottoutilizzo di Hugo Weaving, che comunque conciato da versione post-apocalittica di Satana e da infermiera sadica fa la sua bella figura.) Sono più strumenti per incasinare i protagonisti di ogni storia e farne emergere la forza e le cose a cui tiene.
Non tutte le storie, poi, sono ugualmente riuscite: soprattutto quella ottocentesca e il thriller sono fin troppo affrettate, e il sottotesto politico (sulla schiavitù e le lobby del petrolio in quei due casi) è spesso molto debole e più legato al dovere mettere un antagonista che non a fare riflettere. Per questo Cloud Atlas come 'film serio', come opera con un messaggio, mostra abbastanza la corda. Mette spesso inscena rapporti d'affetto o d'amore credibili, è più scontato a parlare di individuo contro sistema (o cambiamento contro status quo), usa la reincarnazione molto più come uno specchio per le allodole che come un vero legame tra storie.
Ma come film funziona. Funziona molto di più se lo si considera un esercizio di stile in pompa magna, un grandioso e divertente esperimento di storie dosate senza doverne trarre un grosso esercizio intellettuale, di misteri da risolvere pian piano e seguire fino alla fine. La storia narrata da un vecchio Tom Hanks attorno ad un focolare, che ne contiene tante;un caleidoscopio imperfetto e furbo, ma comunque capace di affascinare.

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