Intrattenimento

Dark: la follia del tempo che divora se stesso

Gli einsteniani anni '80?


"La distinzione tra passato, presente e futuro è solo un'illusione ostinatamente persistente". È con questa citazione del grande fisico Albert Einstein che il primo episodio di Dark, serie originale Netflix, accoglie i propri spettatori. Questo piccolo gioiellino tedesco, che nella volontà di richiamare assiduamente le tonolità e i ritmi anni '80 è riuscito a tenere testa, almeno nello scavarsi un posto speciale nel cuore dei fan, a Stranger Things , svela così uno dei propri elementi concettuali cardine, essenziale tanto per assimilare a pieno parte del messaggio che intende veicolare quanto per comprendere e, per così dire, "accettare" i paradossali rivolgimenti della trama, che in un contesto di inquietante coerenza riescono quasi sempre a soprendere e affascinare chi cerca di seguirne pedissequamente il filo. 
In questo modo la misteriosa sparizione di un ragazzino in una città apparentemente tranquilla, ma consumata internamente da oscuri segereti (e Geheimnisse, ossia Segreti titola il primo episodio della serie) svilupperà le proprie conseguenze attorno al tema portante della concezione circolare del tempo
Dark Netflix Logo
Il pensiero dell'origine

È un dato abbastanza assodato presso gli storici del pensiero quello secondo cui il mondo antico sarebbe stato dominato da una visione ciclica dello scorrere del tempo. Tracce tangibili ne sarebbero rimaste in nuclei concettuali ridondanti all'interno della produzione mitica di popoli anche molto distanti tra di loro, nonché tra i primi ed enigmatici versi dei filosofi greci. Il ripresentarsi sempre uguale delle stagioni, il movimento continuo e continuamente identico del respiro umano, questi ed altri elementi fecero forse sì che la cultura antica sviluppasse una concezione del tempo la quale, sopravvissuta al mondo classico e ripresentatasi all'interno del contesto ellenistico – bastì pensare all' ecpirosi ( ἐκπύρωσις, il grande incendio che consuma il mondo per prepararlo periodicamente a una nuova nascita) teorizzata dagli stoici – verrà abbandonata solo in un periodo "recente", con l'affermarsi dei culti escatologici e teleologici e, in particolare, del più fiorente tra di essi: il Cristianesimo

Questi sistemi di credenze religiose e filosofiche sono connotati da un'interpretazione della storia del cosmo orientata a individuare un fine ultimo (in greco τέλος, telos ) verso cui procederebbero la vita del singolo, dell'umanità e della realtà intera. Per quanto intrisa di metafisica e teologia, quest'ottica ha saputo "laicizzarsi" e ottenere una nuova e più efficiente veste "extra-religiosa" nel mito del progresso (tecnico, ma non solo) dell'umanità, in un itinere storico-culturale magistralmente esposto da Serge Latouche in La Megamacchina

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L'eterno ritorno dell'identico

Così l'escatologia cristiana prima e l'ottimismo moderno poi sembravano aver imposto definitivamente la propria visione lineare e tendenzialmente ascensiva del tempo, almeno finché la fiaccola non ancora estinta dell'antica concezione ciclica non si riaccese nelle pagine fiammeggianti di Friedrich Wilhelm Nietzsche. Fiumi di inchiostro sono stati versati nel tentativo di chiarificare l'adesione del pensatore a questa dottrina e il suo effettivo significato, ed è in questa sede impossibile anche solo accennare alle varie posizioni sviluppatesi in merito. Ci limiteremo, dunque, a graffiare la superficie di questo tema così fecondo. 

"Questa vita, quale la stai vivendo adesso e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte; e in essa non ci sarà niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e ogni sospiro e ogni cosa incredibilmente piccola e grande della tua vita dovrà per te ritornare, e tutto nello stesso ordine e successione – e così pure questo ragno e questo chiaro di luna tra gli alberi, e così anche questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta – e tu con essa, granello di polvere!" 

Questo è l'annuncio del demone nell'aforisma 341 della Gaia Scienza, l'annunncio dell'eterno ritorno dell'uguale, davanti al quale, secondo il filosofo, l'uomo si troverebbe davanti a un bivio: la disperazione, da una parte, e un' indescrivibile gioia, dall'altra. 

Vada come vada, quello dell'eterno ritorno è il peso più grande, il macigno che grava sulla schiena dell'uomo allorché gli viene chiesto "O quanto dovresti amare te stesso e la vita per non desiderare nient’altro che quest’ultima eterna conferma e suggello?". Uno dei sensi in cui possiamo interpretare la riformulazione di quest'antica forma sapienziale da parte del filosofo di Röcken è quindi quello "etico". Accettare il peso dell'eterno ritorno mette l'uomo in una condizione di piena responsabilità , e allo stesso tempo proietta la sua esistenza nella dimensione di un libero gioco in cui è finalmente possibile dire di sì tanto alla gioia quanto alla sofferenza.

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Questo atteggiamento nei confronti del vivere è parte integrante dell'insegamento oltreomistico di Nietzsche, e le due dottrine finiscono con l'intrecciarsi nella grande opera Così parlò Zarathustra. Proprio da tali pagine emerge la portata metafisica (o, meglio, antimetafisica) dell'operazione nietzscheana. Zarathustra predica infatti contro "l'avversione della volontà contro il tempo il suo «così fu»" . Prendiamo ora in esame questa breve ma sostanziosa sentenza. Essa contiene in nuce la polemica del filosofo contro tutti quei tentativi di privare la realtà transeunte, soggetta alla caducità, al divenire e alla morte, di qualsiasi valore, alienandolo in un aldilà eterno e immutabile. L'eterno ritorno, al contrario, costituisce un anello ineludibile, oltre la cui eterna ciclicità non si staglia nessuna realtà sovrasensibile. Eternamente stabile è ciò che eternamente scorre, in un gioco quasi folle che invita l'uomo a riappropriarsi, nel suo amore per se stesso e la vita, anche del passato, abbattendo così ogni barriera temporale: questa è la portata liberatoria e allo stesso tempo abissale della dottrina dell'Uroboro

Testi di Mario A. Vella (Ecce Ovo)

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