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Dinosauri, polli e pollosauri: riportare in vita specie estinte

I dinosauri sono la “moda” evoluzionistica del momento, non possiamo negarlo.  Aiutati dal romanzo di Crichton e dal conseguente film “Jurassic Park”, sin dagli anni novanta, l’idea di riportare in vita i dominatori dell’era giurassica, o una qualunque  altra specie estinta, ha  messo radici nelle menti di molti scienziati. Radici che hanno trovato nutrimento nelle sempre più frequenti scoperte di ”fossili piumati” e negli scossoni che queste hanno dato alla loro stessa storia evolutiva. La ricerca evoluzionistica è diventata una vera e propria corsa all’oro, con l’ingegneria genica al posto dei picconi e la manipolazione dell’evoluzione come dorato premio.
Da diversi anni, difatti, la possibilità di riportare in vita specie estinte fa discutere la comunità scientifica alimentando il fuoco e la passione che già bruciano nei ricercatori appassionati del settore, risultando in un boom di nuove ricerche, ipotesi e tecniche da sperimentare. Grazie alle più recenti tecnologie sviluppate, però, quello che fino ad ora era rimasto un mero dibattito tra cervelli, sta passando sul piano reale.  Risulta quindi più che mai necessario fare il punto sui traguardi raggiunti e le implicazioni che questa “corsa all’evoluzione” comporta, sia per la ricerca scientifica che per l’etica che ne sta alla base.
Partiamo dal principio. Anni di ritrovamenti fossili, unite ad analisi e comparazioni di proteine e tessuti molli, fortunatamente contenuti in alcuni di essi, hanno portato ad affermare con la quasi più assoluta certezza, che gli uccelli altro non sono che l’unico gruppo di dinosauri che ancora oggi calpesta la nostra terra. L’idea che tra tutte le meravigliose tipologie di dinosauro vissute nel passato, la selezione naturale abbia lasciato arrivare fino ad oggi esemplari con la stessa “gloria” del gallo domestico ha sicuramente deluso molti appassionati dell’era Giurassica. Ma è uno tra i più interessanti risvolti evolutivi di sempre e forse l’unico modo per riportare in vita i giganti del passato. Ma quanto è effettivamente possibile?
Jack Horner, paleontologo scopritore della famosa Egg Mountain del Montana e grande appassionato di dinosauri, ha pubblicamente esposto nel 2011 il suo intento di iniziare una ricerca per  ricreare quello che lui stesso definisce come Chickenosaurs, o Pollosauro. Secondo Horner difatti, riportare in vita i dinosauri clonando o modificando DNA estratto da un fossile è un’impresa assolutamente impossibile: il DNA ha caratteristiche molecolari tali per cui è soggetto ad un rapido deterioramento con l’avanzare del tempo. Il suo stesso team, negli anni,  aveva trovato diversi  reperti con residui di tessuti molli contenenti proteine ancora intatte vecchie di milioni di anni, ma il DNA non era presente o non manipolabile. Per questo, secondo Horner, l’unica soluzione attuabile per riportare in vita i dinosauri è riavvolgere l’orologio evolutivo dei loro discendenti più prossimi, gli uccelli,  inibendo le caratteristiche che li hanno resi differenti dai loro antenati zannuti. Durante il processo evolutivo infatti una specie si differenzia dalla sua più stretta antenata per l’insorgere di una qualche caratteristica genetica nuova, causata solitamente da modificazioni o inserzioni di materiale genetico. Tutti processi dovuti a cicli di espressione e modifica del DNA che avvengono nella naturale vita delle cellule di tutti gli esseri viventi. Queste caratteristiche, se vantaggiose per la sopravvivenza in quell’ambiente, verranno poi trasmesse alla progenie, creando eventualmente una nuova specie.  Spesso, però, i caratteri ancestrali dell’antenato più prossimo,  permangono all’interno del DNA del nuovo ramo evolutivo appena formato, in uno stato inattivo o talmente modificato da essere catalogato come DNA “spazzatura”, non utile quindi alla vita dell’individuo. Ed è proprio in questi caratteri inattivi che Horner crede risieda la chiave della risurrezione dei dinosauri: riattivando quei caratteri “dinosaureschi” presenti nei polli è possibile trasformarli di fatto in Pollosauri.
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L’idea di Horner,  per quanto pittoresca, è  tutt’altro che priva di fondamento. Già nel 2006, Metthew Harris ricercatore dell’Università di Madison, aveva dimostrato come il becco di alcuni embrioni di pollo potesse sviluppare, in seguito a una mutazione insorta naturalmente a causa di una malattia, un dente simile in tutto e per tutto a quello di un alligatore (evolutivamente il “rettile” più vicino ai dinosauri). Un’aberrazione che, per la prima volta, dimostrava in maniera tangibile l’effettiva presenza di questi codici genetici inattivi nel DNA dei polli, attivabili mediante segnali molecolari specifici, replicabili con le già presenti tecnologie di ingegneria genetica.  E la chiave per questa manipolazione genetica del pollo risiede tutta nei primi stadi dello sviluppo embrionale del pulcino.  Impartendo il giusto segnale molecolare quando il piccolo inizia a svilupparsi, si può decidere quale gene attivare e quindi quale carattere, già presente nel DNA, fare esprimere.  Ovviamente nulla è così semplice da realizzare, ma questo, semplificato in maniera estrema, è il fulcro attorno al quale ruotano sia il Pollosauro di Horner, che la ricerca evolutiva moderna riguardante queste specie Giurassiche. 
Recentemente infatti, gruppi di ricercatori, sono riusciti a modificare con successo diverse parti dell’embrione di pollo: “senza mai, in nessun caso, proseguire con la schiusa dell’uovo” hanno tutti tenuto a specificare.  Un gruppo dell’Università di Chicago è riuscito a modificare l’ossatura del muso di questi potenziali pulcini, con lo scopo di verificare quale fosse il meccanismo molecolare a guidare la diversificazione delle fauci tra rettili e uccelli.  In Cile, inseguendo lo stesso scopo, sono invece riusciti a modificarne alcune ossa delle gambe. Sono solo alcuni esempi delle ricerche che si stanno effettuando e degli esperimenti necessari per toccare con mano le modifiche anatomiche e biochimiche avvenute in uno dei più importanti e controversi passaggi evolutivi della storia animale. 
Capire l’evoluzione, è un passo fondamentale per capire il passato, il futuro ed i possibili interventi sulla vita e la salute dell’intero mondo naturale (che comprende ovviamente anche l’essere umano). Ma il quesito etico rimane. Presupponendo, come assoluto, che sia giusto intervenire geneticamente sugli embrioni di animali… Sarebbe corretto modificarli per riportare in vita specie estinte? La deduzione di Horner, col tempo, sta trovando sempre più conferme ed il suo sogno, alla base del Pollosauro, di “educare i bambini all’evoluzione dando loro la possibilità di toccarla con mano”, si è fatto forse un po’ più vicino. E’ quindi giusto proseguire con ciò che la tecnica, per quanto lontana, ci permetterebbe di ottenere e modificare i polli per ricreare i dinosauro? O sarebbe giocare a far la divinità? Voi che ne pensate?
Testi di Eleonora Beccari

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Un commento

  1. L’aspetto didattico a sostegno di una ricerca di questo genere mi sembra, propagandisticamente, il più debole. Facilmente rimpiazzabile da animatronics o simulazioni al computer. Il valore enorme del percorso credo risieda invece nella sua applicabilità (a lungo termine) sull’essere umano. Tipo: eliminare vulnerabilità genetiche a determinate malattie. La comunità medica come si pone?

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