Intrattenimento

Disincanto: diamogli tempo

Probabilmente lo avete letto più o meno ovunque negli ultimi tempi, ma sì, inutile negarlo: ci troviamo in piena era Game of Thrones – che anzi, sta iniziando a perdere un po' il suo appeal -, con relativa riscoperta del fantasy "classico": re, principesse, cavalieri, matrimoni che finiscono in tragedia e compagnia cantante.
Le parodie ovviamente si sprecano già da anni, ed era solo questione di tempo prima che scendesse in campo anche Sua Maestà Matt Groening, che dopo aver sviscerato per benino la fantascienza con l'amatissimo Futurama, adesso arriva a prendere un po' in giro il passato con Disincanto, le cui prime 10 puntate sono state rilasciate su Netflix dal 17 agosto.
Ma ci troviamo davvero di fronte ad una mera parodia del genere fantasy? Un Futurama ambientato semplicemente nel passato, come ipotizzato da tanti al momento dell'annuncio?
Beh… no.
Partiamo da principio. Bean è la figlia di Zog, il re di Dreamland, ed è tutto ciò che una principessa non dovrebbe essere: casinara e arrogante, passa il suo tempo libero nelle peggiori bettole giocando a poker coi ceffi meno raccomandabili del regno ingurgitando alcol come una spugna. 
Negli episodi iniziali il re, come in ogni fiaba che si rispetti, decide di darla in moglie ad un perfetto sconosciuto, stipulando un fruttuoso patto con un regno vicino e sperando possa così finalmente iniziare a comportarsi come una vera principessa, moglie e madre devota.
Come potete ben immaginare, le cose andranno in maniera diversa.
La serie gode di un cast che, per quanto grottesco e privo di personaggi secondari immediatamente iconici (ci viene da pensare a Bender, ad esempio, doppiato da John DiMaggio che qui presta la voce al re), risulta pian piano sempre più simpatico. 
Il demone Luci e l'elfo Elfo (eheheh) si prestano molto bene nel ruolo di spalle della principessa Bean, letteralmente il demonietto scafato e l'ingenua voce della ragione che litigano e si pungolano costantemente nel tentativo di portarla dalla propria parte.
Ma la vera star è, appunto, la protagonista. La principessa Bean è una giovane donna che, con lo spettro di una madre scomparsa quando lei era molto piccola e un padre del tutto disinteressato a lei come persona, da un lato cerca la propria identità e soffoca il proprio dolore in atteggiamenti sconsiderati; dall'altro, invece, fa di tutto perché il re possa imparare a conoscerla e ad apprezzarla.
Si ride in Disincanto? Sì. Ma spesso sono risate amare, e per quanto le gag fini a sé stesse si sprechino, non mancano momenti di riflessione più profonda – affatto celati e che, in effetti, sono il motore vero e proprio della storia di fondo. La serie infatti si basa a tutti gli effetti sulla tematica della ricerca di sé. Oltre a Bean, infatti, anche Elfo fin dall'inizio si sente stretto nell'identità che gli è stata data alla nascita ("cantare per tutto il tempo mentre si lavora non è allegro! È da pazzi!"), e lascia con un certo astio la propria comunità nella quale non si sente libero di essere sé stesso.
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Come accennavamo in apertura, chi si aspettava un Futurama in versione fiabesca resterà deluso. Certamente, abbiamo la presa in giro delle tematiche tipiche del fantasy: nonostante il nome la cittadina di Dreamland è tutt'altro che fatata, e le varie comparse si prestano benissimo nel rovesciamento e nella distruzione sistematica di tutto ciò che può ricondurre alla fiaba. Abbiamo un re inetto, la corte che invece di badare al benessere del popolo agisce unicamente per il proprio tornaconto, i più deboli che invece di prendere atto della – disperata – situazione in cui versano si lasciano abbindolare da feste e festicciole. Anche i personaggi e i luoghi più incantati, poi, di fatto, non lo sono per niente ("State entrando nella foresta incantata: attenti all'antilope razzista").
Ma il vero fulcro è un altro: a differenza delle altre opere di Groening, abbiamo anche una trama orizzontale che si fa strada prepotentemente verso la fine di questa prima stagione, e che riguarda la misteriosa morte della madre di Bean. Ovviamente non vi facciamo spoiler.
Si tratta di un difetto? No. È semplicemente un prodotto diverso da quello che ci si aspettava.
Ma allora, cos'è che non va in Disincanto?
Fondamentalmente il fatto che si percepisca più e più volte una sorta di lentezza di fondo, con le singole puntate che sembrano metterci un'eternità per arrivare al succo della vicenda di turno. 
Il tutto è presto spiegato: gli episodi durano poco meno di trenta minuti ciascuno, andando ad allungare forse troppo il brodo di volta in volta. Questo è vero soprattutto per la prima metà, mentre nella seconda metà della stagione fortunatamente vi è un'accelerata che fa pesare meno tale aspetto. Però capita spesso, durante la visione, di pensare "okay… e quindi?".
Non occorre strapparsi i capelli prima del tempo e urlare alla delusione. Capita spesso che le serie ci mettano un po' a carburare: tanto per restare in tema Matt Groening, in quanti si sarebbero aspettati il successo planetario de I Simpson giudicando solamente la prima stagione?
In sostanza, abbiamo una (buona) serie che impiega un po' a prendere il via e che, purtroppo, arriva ad avere un buon ritmo solo a cavallo della conclusione. La fine troncata, tuttavia, ci lascia ben sperare per la seconda parte, anch'essa da dieci episodi e che non ha ancora una data di uscita ufficiale.
Diamogli tempo.
Per quanto ci riguarda, aspettiamo con ansia il ritorno di Bean. 
Se non ci credete sentite quello che ha da dire Elfo, ecco qui la nostra intervista a Edoardo Stoppacciaro, il suo doppiattore!

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Francesca Menta

Nella vita legge fumetti, guarda cartoni e fa altre cose noiose e banali che non vale la pena menzionare. Allenatrice di Pokémon dal 1999. A quanto pare adesso recensisce anche videogiochi, coronando il sogno di una vita: poter gridare con fare oltraggiato "Lo sto facendo per LAVORO" ogni qualvolta viene trovata di fronte ad una console.

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