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Doctor Who – Finale di partita, almeno per un po’.

Come una foglia è nata, ha volteggiato nell'aria, è finita. Come ogni storia, come ogni stagione. E’ finita dopo un’altalena e una marea di dubbi. Domande, hype, giochi di parole sull’utilizzo di Doctor Who, lo stesso titolo, come domanda all’interno della serie – cosa che stava cominciando a suonare artificiosa, eccessiva. Dubbi sul cambio di companion. O sul fatto che Steven Moffat cominciasse a ripetersi fin troppo nelle trovate.

E diciamolo subito: non troviamo questa stagione la migliore mai fatta. Specie nella seconda metà s’è trascinata dietro una serie di episodi non memorabili, o comunque carini ma che potevano essere qualcosa di più.Certo, le tracce gaimaniane (in The Ringsof Akhaten tutto incentrato sull’idea della storia di ogni persona, e in Nightmare in Silver scritta dallo stesso Neil) e la storia di fantasmi e amore di Hide ci han fatto alzare il pollice e sorridere di approvazione, ma c’è stata spesso la sensazione che si potesse fare di meglio. Anche se l’avventura dei coniugi Pond s’è conclusa molto bene, tra la cazzonaggine con ambiguità morale finale di Dinosaurs on a Spaceship, l’adorabile papà Pond e A Town Called Mercy, che magari non sarà piaciuto in giro ma c’ha colpiti tanto con il suo misto di western, alieni e cerca di redenzione. The Angels Take Manhattan, il finale degli amati Pond, è stato forse il simbolo delle due facce della medaglia: se da un lato ha dato assieme una conclusione potente e toccante e assieme un gran lavoro di sviluppo caratteriale del Dottore (he doesn’t like endings), dall’altro gli Angeli, la creazione più emblematica di Moffat e simbolo del suo modo di concepire fantasia e orrore, hanno dato fin troppo l’impressione di essere un goffo espediente di trama e poco più. Poi c’era Oswin (ancora prima di Clara), i suoi modi di fare spensierati e flirtanti fin troppo simili a River, il timore che la creatività si stesse esaurendo e la nuova companion rischiasse di essere qualcosa di già visto, di debole.

E probabilmente non c’è stata una nuova Silence in the Library / Forest of the Dead, di quelle storie che ti fanno cadere la mascella,venire gli occhi lucidi e dire “frak, devo recuperare TUTTO.” E di antagonisti memorabili non ce ne sono stati davvero: la Grande Intelligenza, come nemesi della serie, difettava del carisma di Dalek, Angeli, Cybermen ma anche dello stesso Silenzio. Le cose splendide, che ci sono state, erano più frammenti di genio, battute, fili che andavano a collegarsi all’interno di puntate spesso niente di che: è probabile che ci si ricorderà poco di Cold War a parte il leggendario dottore di bordo e la sua passione per Ultravox e Duran Duran.  

Però, con tutte le imperfezioni e i momenti di mediocrità, si finisce per arrivare alla conclusione e chiudere i pugni con un sospiro di esaltazione. Ce l’hanno ancora fatta.

E qui passiamo agli spoiler sull’intera stagione, finale compreso. Non leggete se dovete ancora scoprire.

Clara, la Ragazza Impossibile, come già scritto era un terreno rischioso. Sui terreni sentimentali s’era già fatto tanto, tra la sbandata iniziale di Amy e i sentimenti ricambiati di River. Sul rapporto quasi paterno c’era già stata Amy, e tornare ad una relazione del genere sarebbe stato troppo difficile da fare senza diventare ripetitivo. Cos’era Clara allora? Un po’ di tutto. Un’amica, un’ancora di affetto, ma soprattutto un mistero. La ragazza impossibile, un enigma che continuava a pulsare e a dare sia perplessità (per il rischio che fosse una delusione) sia aspettativa. Dando quindi un senso al personaggio, l’unicità che si meritava. E celebrando alla fine il vero rapporto sentimentale del Dottore, quello con River.

E certo, l’enigma è stato risolto come ormai Moffat ama (fin troppo?) fare, un paradosso temporale che si autogenera. Ma che goduria vedere omaggiate tutte le incarnazioni del Dottore, anche le prime otto difficili da recuperare – e che invece meritano eccome di essere viste prima o poi. E così Clara si è aggiunta agli angeli guardiani del Dottore, che sarà pure l’essere più potente dell’universo o quasi ma è troppo fragile, troppo umano, troppo senza compromessi per non arrivare tante, troppe volte vicino a spezzarsi.E certo, c’è la questione del nome. Quella promessa ribadita dalla fine della scorsa stagione e di nuovo aggirata. Ma qui si tratta di sospensione dell’incredulità e accordi taciti tra pubblico e autori: qualcuno si aspettava davvero che uscisse il vero nome del Dottore? Ad essere cinici/realisti/whatever c’aspettiamo che non verrà mai tirato fuori il nome: scontenterebbe comunque. E in fondo ci si aspettava il modo in cui la questione sarebbe stata elusa con eleganza.Ed è stata elusa… con John Hurt. Con un colpo da maestro che ok, è far leva sui fans utilizzando un grande attore ma scusate se è poco. A parte il carisma che quest'uomo si porta dietro. Di nuovo il finale di stagione ha concluso il problema immediato ma aperto qualcosa di nuovo, e qui ci avviciniamo ancora di più ad una breccia nera all’interno del Dottore. L’incarnazione che ha tradito il proprio nome, vecchia e stanca. Forse il Valeyard, il 'Dottore oscuro' da The Trial of a Time Lord dell'86. E al solito Moffat si conferma un maledettissimo maestro dello hype: l’attesa per lo speciale del cinquantesimo anniversario, a questo punto, è soltanto spasmodica.  (Un amico tralaltro ha fatto paragoni con Planescape Torment, e maledizione se non ha ragione. L’entusiasmo non può che accumularsi.)E’ una contraddizione, è come un alieno troppo umano con due cuori, quello che ci resta dopo una serie simile. Imperfezione, perplessità e un sacco d’amore.

Comunque vada, il Dottore ci riesce sempre a catturare.

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