La nuova opera di Taika Waititi si presenta sicuramente in maniera strana. Insomma, una commedia sul nazismo, dove il protagonista è un bambino che come amico immaginario ha un’assurda versione di Adolf Hitler, interpretata proprio dal regista. Eppure proprio da questa premessa assurda, l’autore neozelandese crea una delle storie più divertenti e toccanti di quest’ultima stagione cinematografica. Proviamo ad approfondire in questa recensione di Jojo Rabbit, da oggi nelle sale italiane.
Jojo Rabbit, la nostra recensione del film di Taika Waititi
Di che cosa parla Jojo Rabbit?
Un giorno però scopre che la madre nasconde nella loro casa, nella stanza della sorella di Jojo morta tempo prima, uno dei ‘terribili e mostruosi nemici della razza ariana’ di cui ha tanto sentito parlare dalla propaganda: una ragazza ebrea. Il bambino decide quindi di prendere contatto con lei, per servire il Reich creando una guida per riconoscerli e difendersi da loro.
Quella di Jojo Rabbit è una storia a suo modo semplice e lineare, il racconto dell’evoluzione del rapporto tra due ragazzi che in un modo o nell’altro sono costretti a crescere rapidamente dalle circostanze. Nonostante tutto però restano sempre dei bambini nascosti, sia in maniera letterale, sia in maniera metaforica.
Questo racconto non ci mostra mai davvero gli orrori del regime. La crudeltà del Terzo Reich è vista tendenzialmente in maniera indiretta: presente, ma mai esplicitamente menzionata. Proprio grazie a questo Waititi riesce a offrirci un punto di vista nuovo (o comunque meno esplorato) su quest’epoca così oscura, quello dell’impatto sulla vita comune. Come si sentiva un bambino, bombardato dalla propaganda, in quegli anni? E soprattutto, riuscirà l’indottrinamento a cancellare l’umanità insita in lui?
Il cambio di tono come chiave per la narrazione
Il film riesce a strappare fragorose risate, cercando in ogni modo di convincerci a non prenderlo sul serio. Tanti dei suoi personaggi, soprattutto quelli secondari, sembrano essere delle macchiette, quasi una parodia esagerata di quello che ci immaginiamo quando pensiamo alla dittatura nazista. L’effetto straniante delle cover di canzoni di ogni tipo in lingua tedesca (a partire da I Want to Hold Your Hand dei Beatles) è un esempio perfetto di ciò.
Poi però, quando meno te lo aspetti, Jojo Rabbit ruota su sé stesso e con un’imprevedibile inversione a U ti riporta dal mondo dell’assurdo, della parodia, del sogno, alla realtà. Quella dura e drammatica di quegli anni. Tutti quelle figure surreali all’improvviso ritornano a essere vere, come la rottura di un’illusione.
Questa alternanza è continua per l’intera pellicola, con una frequenza sempre maggiore e una crescente intensità. Il passaggio dal reame dell’assurdo alla realtà dona alla narrazione una potenza eccezionale. Più che gli eventi in sé, è proprio questo stacco, questo fortissimo richiamo a tornare con i piedi per terra che rende le scene emozionanti e toccanti.
Jojo Rabbit e gli altri…
Non è solo la sceneggiatura a emergere in questo film, anzi. Gli aspetti positivi sono davvero moltissimi e fra questi non si può non citare l’importanza di un cast fantastico. La pellicola è costellata di interpretazioni eccezionali, che restano impresse nello spettatore ben oltre l’uscita dalla sala.
Ovviamente non si può non citare quella di Taika Waititi stesso. Meno presente di quanto si possa immaginare, il regista/attore riesce a mostrarci perfettamente la subdola trasformazione del suo personaggio, fino alla conclusione. Ancora più sottile quella di Sam Rockwell, che riesce a raccontarci tutto del suo Capitano Klenzendorf con pochi tocchi. E che dire della terrificante presenza di Stephen Merchant nelle scene in cui compare? Da brividi, letteralmente.
Solidissime anche le performance dei membri più giovani del cast. Archie Yates dona al suo Yorki un’ingenuità dolce, in pieno contrasto con le ‘sue’ terribili idee, ed è una spalla ottima per il protagonista Roman Griffin Davis, piccola stella del film. Le scene in cui quest’ultimo interagisce con Thomasin McKenzie sono emozionanti, con entrambi gli attori che riescono a fare emergere l’adulto e il bambino presente nei rispettivi personaggi.
E poi, Scarlett Johansson. L’attrice, che nel film interpreta la madre del piccolo Jojo, regala una delle interpretazioni migliori non solo del film, ma di tutta la passata stagione. La sua Rosie riesce a conquistarci minuto dopo minuto, mostrando tutte le difficoltà del desiderio di restare umana in quegli anni così bui e allo stesso tempo proteggere il proprio figlio, mentre cerca a sua volta di proteggersi da lui. Un ruolo stratificato che Johansson riesce a portare sullo schermo nella sua massima espressione.
Pareri finali
- Leunens, Christine (Autore)