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La baia dove muoiono i delfini

Io amo il Giappone. 
Sono cresciuta con anime e manga che mi hanno fatta ridere e commuovere, che mi hanno fatta emozionare e avvicinare ancora di più a una cultura immensamente affascinante.
Ho passato ore a guardare programmi televisivi assurdi e film di una qualità impeccabile. Ho letto svariati romanzi e in tutti mi sono bastate le prime pagine per capire che si trattava di uno scrittore giapponese: hanno quello stile particolare che ti fa scivolare le parole nella mente avvolgendoti in un incantesimo. 
Ne apprezzo la lingua, che ritengo musicale come poche altre, ne adoro la cultura nel suo complesso, la filosofia di vita, e passare del tempo sul suolo giapponese è per me come tornare ogni volta in un posto in cui so di dover essere…. 
Ma tutto questo non mi rende cieca.
Siamo a settembre e non è solo il mese in cui comprendi che le vacanze sono finite, in cui ricominciano scuola e lavoro, in cui lentamente l'estate comincia a farsi da parte per far avanzare l'autunno.
A settembre, ogni anno, si apre la caccia al delfino, a Taiji un piccolo paese nel distretto di Higashimuro, prefettura di Wakayama… Giappone.
Ma, perdonatemi, la parola “caccia” non è corretta, “mattanza” è quella che avrei dovuto usare.
Centinaia di delfini intrappolati in una baia, senza via di scampo. 
Dopo essere stati imprigionati tra le reti e la spiaggia, vengono accuratamente selezionati da un gruppo di addestratori ordinatamente disposti, i quali scelgono gli esemplari migliori per portarli nei parchi acquatici. I rimanenti vengono trascinati lontano da sguardi indiscreti e trucidati. Ammazzati dal primo all'ultimo in maniera brutale. Centinaia, migliaia ogni anno, da settembre a marzo.
E l'acqua si tinge di rosso divenendo, letteralmente, un mare di sangue.
La carne viene venduta per essere mangiata, una carne che non dovrebbe essere consumata perché contenente un'alta percentuale di mercurio, velenosa per l'essere umano. 
Non è tutto, anche se potrebbe bastare. 
Nella ridente cittadina di Taiji è presente un museo in cui è possibile assistere a spettacoli di delfini ammaestrati sgranocchiando snack di carne dello stesso animale. Fantastico, non credete?
 
Era il 2009 quando il documentario The cove, per la regia di Louie Psholyos, presentato al Sundance film festival, ha suscitato i primi scalpori. Per la prima volta veniva portato sul grande schermo lo scabroso segreto della baia di Taiji, esposto al mondo come una ferita aperta. 
Pare che nemmeno i Giapponesi sapessero cosa stesse succedendo… Il popolo, non il governo.
Per essere obiettiva, per quanto difficile sia sentendo le urla - perché a un certo punto smettono di essere versi per diventare grida - dei delfini, mi sono chiesta se effettivamente è una cosa necessaria, se fa in qualche modo parte del famoso Cerchio della vita. 
La risposta è NO, un no scritto a caratteri cubitali!
Innanzitutto nessuno ha davvero bisogno di assistere agli spettacoli dei parchi acquatici, ergo mantenere gli animali in cattività è inutile, dannoso e crudele. Per quanto possano essere trattati bene in quei luoghi, cosa che non sempre avviene e di cui comunque dubito sempre, una vasca con dei confini di vetro non è il luogo cui appartengono. Una cella dalle pareti dorate rimane sempre una cella.
Uccidere una tale quantità di delfini per una carne velenosa e di cui non c'è neanche un'effettiva richiesta? Inutile. Dannoso. Crudele.
Potrei continuare parlando dello sterminio delle balene, anch'esso per mano dei Giapponesi, ma è il caso di trattare un problema alla volta.
Guardate questo film, documentatevi, conoscete. 
Siete molto sensibili e non ve la sentite? Non importa, guardatelo lo stesso!
Ci sono cose che devono essere viste, perché succedono e non possiamo voltare la testa dall'altra parte perché “non ce la sentiamo”.
Non vi sto dicendo di cominciare una crociata (ovviamente non vi impedirò il contrario), vi sto esortando a non essere ciechi. 
Dovete prendere coscienza.
Potete vedere l'intero film, doppiato in italiano, a questo link. E per qualsiasi cosa potete scrivermi a questo indirizzo: redazione@orgoglionerd.it
See you space cowboy
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