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La sperimentazione animale alla ricerca del super-soldato

La lettura dell’ennesima brillante rubrica di Comics & Science ha generato una forte risposta emotiva da parte dei ragazzi dei Laboratori di Orgoglio Nerd. Ad oggi non siamo totalmente sicuri la cosa sia indipendente dagli intrugli che sono costretti ad assumere, ma coglieremo l’occasione per affrontare un altro tema spinoso e discusso, ovvero il valore e il significato della sperimentazione animale.

Premettendo che in questa sede ci limitiamo alla pura sperimentazione umana e che nessun gatto, cane, topo, zanzara, petauro, iperodonte boreale, okapi, narvalo, capibara, salamandra axolotl o pangolino nano del Borneo (Cu-cu-piu!) è stato maltrattato per la realizzazione di questa rubrica, affronteremo la tematica come meglio sappiamo fare: osservandola dal punto di vista del mondo dei fumetti.

Prima che possiate però insorgere e criticare la discutibile scelta di banalizzare una questione etico/scientifica imbastardendola con dei racconti di invenzione, permetteteci di farvi una domanda: avete mai visto una discussione tra “pro” e“contro” sperimentazione animale non sfociare in una battaglia tra due gruppi di scimmie combattuta tirandosi sferodi stercorari? Bene, eleganti neologismi a parte, non intendiamo utilizzare questa argomentazione per dimostrare la similitudine tra il genoma umano e quello dei primati ma soltanto per evidenziare un problema di base, relativo alla difficoltà di comunicazione tra le due realtà. Diverso obiettivo finale, diverso registro linguistico, diversi strumenti retorici, diverse assunzioni di base. In pratica è come se viaggiassero su due rette parallele. Quello che possiamo fare nel nostro piccolo è prendere lo spazio geometrico in cui giacciono, appallottolarlo secondo le nostre regole e costringere quelle due rette ad incontrarsi. Difficilmente Bernhard Riemann ci querelerà per questo.

Negli infiniti universi del fumetto, i superpoteri vengono acquisiti sostanzialmente in quattro modi differenti: per nascita, per presa di possesso, per casualità o incidente e come conseguenza di un esperimento riuscito. Le ultime due categorie sono quelle che rientrano nei nostri interessi e, dopo una breve digressione sulla prima, approfondiremo maggiormente la seconda.

Quante sono le reali probabilità che un effetto positivo venga scoperto “per incidente”? Se avete un minimo di preparazione scientifica, saprete sicuramente che sono tutto sommato elevate. Basti pensare al fulmicotone, giusto per citare qualcosa che…Ha fatto un’entrata con il botto. Ma anche banalmente la gomma vulcanizzata. Certo, più complesso è il nostro sistema e minori sono queste probabilità, con un andamento che possiamo dire esponenziale. Quindi se la buona vecchia cara drosophila melanogaster, con i suoi 4 cromosomi e “soli” 13767 geni non ha ancora manifestato superpoteri nonostante 105 anni di sperimentazione animale incontrollata su larga scala (una femmina deposita fino a 600 uova in 10giorni), proviamo a chiederci quanto sia probabile accada ad organismi con 46 cromosomi. Se qualcuno di voi sta puntualizzando che l’uomo ha comunque solo 20-25 mila geni… Beh, sappia che gli vogliamo bene. Davvero. Fortunatamente, a rendere consistente la nostra spiegazione interviene lo splicing alternativo che da un singolo gene consente la produzione di un gran numero di differenti proteine. In un certo senso, il genoma umano è un file .zip con un fattore di compressione superiore.

Quello che ha reso Bruce Banner “Incredibile” è in fondo dannatamente simile a quello che ha ucciso il ben più reale John Wayne. Il confronto non è equo, il mondo dei fumetti è governato dalla probabilità pilotata che rende equiprobabili eventi certi, probabili, possibili, improbabili e impossibili. A seconda della categoria di appartenenza e della volontà dell’autore. Così la probabilità è più“realisticamente credibile” in certi albi di “The Punisher” di quanto mediamente sia negli “X-men 2099”, giusto per fare un esempio concreto, anche se un po’ retrò.

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Compreso questo punto fondamentale, possiamo serenamente spostarci agli esperimenti riusciti. Anche questi per se sono innumerevoli, per cui ci conviene selezionare un esempio familiare che possa avere poi valenza di generalizzazione. In questo preciso momento cinematografico, l’esempio più calzante è sicuramente l’opera massima di Abraham Erskine, ovvero il siero del supersoldato che ha trasformato il rachitico Steve Rogers nell’aitante (e a tratti imbarazzante) Capitan America. Il tutto senza passare per alcuna fase di sperimentazione animale intermedia e con una probabilità di successo spaventosamente elevata. In questo punto si pone molto bene una delle osservazioni scientifiche (non etiche) del fronte contrario alla sperimentazione animale: il siero del supersoldato è un“farmaco” estremamente specifico e qualsiasi soggetto abbia un corredo genetico anche di poco differente da quello di Steve Rogers non può trarne benefici.Quindi a maggior ragione il modello animale, che è sicuramente più distante da Steve Rogers rispetto ai numerosi modelli umani su cui il siero si è dimostrato fallimentare.

Ma cosa sarebbe successo se invece di molti modelli con corredo genetico differente, tra cui uno Steve Rogers, Abraham Erskine avesse avuto a disposizione migliaia di cloni della stessa persona (che chiameremo d’ora in avanti Isaiah Bradley)? Qui si pone una delle osservazioni scientifiche del fronte pro sperimentazione animale: per comprendere il meccanismo di funzionamento di un farmaco è più utile avere una gran vastità di singoli individui con lo stesso corredo genetico, modificando la “ricetta” e testandola ripetutamente fino a quando uno degli Isaiah Bradley reagirà positivamente. Ovviamente non si tratta di modifiche alla cieca: il modello consente infatti di osservare la risposta in modo adattativo.Così mentre impiliamo cadaveri del povero Isaiah in uno spazio sufficientemente grande, possiamo comprendere la risposta al farmaco sia della parte condivisa di corredo genetico che della parte Isaiah-specifica. Nella trasposizione alla ricerca “reale” questa prima fase causa però già un grosso problema (scientifico, trascuriamo quelli etici): come facciamo ad avere tutti questi cloni di Isaiah Bradley disponibili in poco tempo? Beh, è uno dei motivi per cui si scelgono modelli più semplici, moscerini e topi si riproducono velocemente ed è possibile farli riprodurre tra di loro per mantenere il pool genetico costante con il passare delle generazioni, senza contare sul fattore“genoma più semplice” a cui abbiamo accennato precedentemente. Una volta perfezionato il nostro siero Isaiah-specifico, testandolo su migliaia di Isaiah per essere sicuri che gli effetti avversi si verifichino in un numero sufficientemente piccolo di casi, ci resterà un dubbio: il farmaco Isaiah-specifico è adattabile a Steve Rogers? Beh, per come funziona il metodo scientifico, si tratta di passare ad una differente fase di sperimentazione, in cui lo scopo è affinare ancora il prodotto cercando di renderlo più generico possibile e limitare al massimo i casi di reazioni avverse. Nel fare questo,  a seconda dei casi impileremo o meno altri cadaveri.

Il rischio sempre presente è quello di non ottenere nulla. È possibile (probabile?) che il nostro farmaco uccida il 100% degli Isaiah su cui effettuiamo la sperimentazione, nel qual caso è impensabile possa essere utilizzato per creare una schiera di supersoldati. Anche uccidesse 9 Isaiah su 10, 5 su 10 o 2 su 10, un qualsiasi organismo di controllo ci impedirebbe di commercializzarlo. Anche funzionasse sul 100% degli Isaiah ma solo sul 10% dei non-Isaiah avremmo lo stesso identico problema: un farmaco inutile. Questa è la trasposizione “comica” del destino di 9 sperimentazioni reali su 10, ad essere piuttosto ottimisti.

Certo, se potessimo confrontare i nostri risultati con quelli ottenuti in gruppi di ricerca simili e il nostro siero a sieri simili testati in passato, potremmo aumentare di molto le probabilità di successo, che è esattamente quello che accade oggi con la moderna ricerca. Lo “sharing” di informazioni è il punto chiave dello sviluppo vertiginosamente rapido che ha avuto la medicina negli ultimi decenni.

Ma la questione non si chiude con una semplice serie di considerazioni scientifiche basate sulla probabilità, c’è un fattore etico piuttosto pressante, soprattutto dal punto di vista dei “contrari alla sperimentazione animale”. Non a caso nel nostro esempio abbiamo deciso di accompagnare la fase di ricerca con pile e pile di cadaveri del nostro capro espiatorio, Isaiah Bradley clonato, proprio per enfatizzare la questione etica: nel mondo del fumetto è eticamente corretto uccidere migliaia e migliaia di esseri umani per sviluppare un farmaco? Per chi,nella vita reale, ha coscientemente deciso che la vita degli animali ha valore simile alla propria, i ratti hanno lo stesso valore di Isaiah Bradley. Si tratta di una scelta sulla cui correttezza, epurata dalle purtroppo numerose alienazioni ipocrite, non ci possiamo permettere di recriminare.

La comunità scientifica attualmente ritiene che la sperimentazione animale sia necessaria. Per chi è pronto a rispondere che vi sono anche scienziati “illuminati” che ritengono non lo sia, vorremmo ricordare che le percentuali sono 97% contro 3%, all’incirca la stessa percentuale di americani crede che degli alieni rettiliformi controllino il destino della terra. Certo è vero che in passato diverse teorie scientifiche corrette hanno subito discriminazioni ben peggiori, ma si deve anche pensare che oggi è possibile discutere e condividere informazioni con un’efficienza infinitamente superiore e se una teoria è corretta non necessita più di così tanto tempo prima di essere accettata dalla comunità scientifica. Non si tratta della proverbiale teiera di Russell, la scienza è basata su fatti concreti, misurabili ed accertabili. Qualsiasi ulteriore considerazione complottista può essere rimandata alla già citata opera di Comics & Science.

Abbiamo quindi uno scontro tra la comprovata utilità di un modello e una forte sensibilità etica nei confronti degli esseri viventi. Due posizioni opposte ma che crediamo non sia difficile riuscire almeno a comprendere. Come uscire da questo impasse? Di certo non vivendolo con l’attuale rigidità tipica dello stallo alla messicana, non c’è nessun Sergio Leone alla regia della ricerca ad imporci di spararci addosso (in particolare sferoidi stercorari). C’è almeno un punto su cui entrambi i fronti possono convergere, ovvero l’importanza di investire sullo sviluppo di modelli alternativi che, un giorno, possano sostituire totalmente il modello animale. Sentiamo già lo “j’accuse” di chi leggerà quest’ultima frase come un sostegno cieco alla sperimentazione animale. Non si può pensare che, da un giorno all’altro, la ricerca possa rinunciare totalmente alla sperimentazione animale, non è pronta e si troverebbe senza possibilità di avanzare. Per contro, una ricerca insensibile all’importanza della vita è aberrante perché contraria al suo intento primario. Vi chiediamo quindi di interpretarci per quello che vogliamo realmente condividere, un invito a rinunciare all’arrocco aprioristico dettato dalle proprie convinzioni e in conflitto con le convinzioni del prossimo, per diventare invece parte attiva nella transizione che sta avvenendo, un processo che sarà tanto più veloce quanto più vi sarà un dialogo sereno tra le parti e, soprattutto, vera informazione

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