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Lo Hobbit: Thorin Scudodiquercia e la recensione

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Jackson vuole riprendersi la suo Erebor e nessuno potrà fermarlo.
Il ritorno di Peter Jackson nella Terra di Mezzo è segnato da un rispetto, una passione travolgente e un'aura epica di rivalsa contro tutti benpensanti che lo additavano.
Certo, potremmo soffermarci sui 48 frame al secondo, oppure sui soliti occhialini 3d scomodi, ma invece non lo faremo. Non vi daremo questa soddisfazione.
Lo Hobbit è un capolavoro, e qui non si parla di regia o di budget o di effetti, ma di anima.
Lo Hobbit ti travolge, ti afferra e ti trascina a lato di quelle tavolate di un tempo, quando i dadi giravano e il muro del Dungeon Master era l'unica cosa che ti separava da una morte certa.
Se avete mai vissuto l'esperienza, unica e intima, di una partita a Dungeons and Dragons sicuramente sapete dove vogliamo andare a parare.
Tutto nella pellicola è capace di darti le stesse emozioni vissute in quei pomeriggi lunghi e interminabili, un risultato di dado sbagliato e quell'orco ti avrebbe staccato al testa, una decisione affrettata e il drago si sarebbe svegliato.
Le gocce di sudore erano sulla fronte non solo del tuo personaggio, ma  anche sulla tua e, dopo oggi, anche sul volto di Thorin.
Una pellicola che ha il potere di coinvolgerti in maniera così viscerale è rara quanto il cuore di una montagna. 
Anche se il gioco di ruolo vi è cosa estranea vi chiediamo di chiudere gli occhi e provare a immaginare:  tra le vostre mani stringete un dado, non un dado qualunque, ma quello più importante di tutta la vostra vita.
Dal numero che si dipingerà sulla faccia di lì a poco saprete se tutto il vostro viaggio, tutti gli attimi nei quali avete lottato, sofferto e combattuto di fianco ai vostri compagni, sarà ripagato. Capite quanto è importante quel numero?
Ora pensate ad un film, una pellicola dal grande potere, e mentre la state guardando con i pugni stretti, serrati, sentite quel dado ancora là che vi punge.
La voglia di tirarlo sfrigola come carne sulle braci, e volete, desiderate di poter essere in quella pellicola, intorno a quel tavolo, ancora una volta, un'ultima volta prima dei titoli di coda.
Poter correre sui ponti pericolanti dei goblin a fianco della compagnia di Scudodiquercia, schivare i massi dei giganti di pietra e tenere occupati i troll fino al mattino.
Per quelle ore, poche, siete un guerriero, un mago, un chierico.
Molti credono che Dungeons and Dragons ti dia la possibilità di essere qualcun altro, niente di più falso. Quando giochi, quando guardi una pellicola come questa, non sei qualcun altro, sei te stesso, per la prima volta da tanto tempo.
Immaginatevi ora la pressione sostenuta da Peter Jackson, la sua trilogia precedente ha avuto oltre trenta nomination complessive e ne ha vinte più della metà, gli occhi del mondo erano puntati su di lui. 
Mentre i suoi attori ci rendevano ciechi a tutto quello che ci accadeva intorno, Peter è riuscito di nuovo a scalare il monte dei nostri cuori e a gettare l'anello.
Jackson riesce a ampliare e approfondire la letteratura Tolkieniana senza snaturarla, la adatta al formato cinematografico e la sviluppa con rispetto e attenzione.
Gli espedienti di introduzione, con un Ian Holm in piena forma e un Frodo pronto ad accogliere Gandalf per iniziare la sua “Quest”, riescono a rigettarti nel mondo dal quale eri faticosamente uscito. Per tutta la pellicola i rimandi alla trilogia “classica” si fanno vivi, complotti, voci un'ombra ad est, c'è tutto, lo spettatore non si sente estraniato e non abbiamo il temuto effetto “Episode I”, nessuna minaccia fantasma riesce a svegliarci da questo sogno.
Gli orchi che additavano Jackson per aver deciso di fare un'altra trilogia per Lo Hobbit, tomo ben più corto de Il Signore degli Anelli, dovranno fare i conti con la realtà.
Non ci troviamo di fronte ad una semplice rivisitazione del tomo di Tolkien ma ad un vero e proprio sunto del suo lavoro, tra appendici, annotazioni e richiami al Silmarillion.
Ma parliamo di ciò che spaventa di più: il 3D e i 48 fps: la tecnologia 3D non disturba e, che ci crediate o no, non sono state inserite inquadrature esclusivamente per sfruttare al meglio questa tecnica, almeno escludendo le scene tipiche della regia di Jackson.
The Hobbit non è stato girato con i classici 24 Frame al secondo, ma al doppio della velocità. La sensazione di "velocizzato" e l'assurdo sentore che ci si trovi di fronte ad un prodotto televisivo non trovano il minimo riscontro effettivo.
Lo spettatore si abitua in fretta, e lo spettatore di cuore ne lascerà un pezzo in sospeso ad attendere la prossima pellicola. 
Siamo sicuri che di tanto in tanto si guarderà nel pugno della mano, giurando di aver sentito qualcosa, un dado forse.
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