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Recensione Game of Thrones: un’Elegia di Ghiaccio e di Fuoco

Analizziamo la Stagione più controversa del Trono di Spade

Il Fuoco: quello che invece ha funzionato

La Colonna Sonora

“Oh ma vi siete ridotti veramente male se per parlare bene di GoT vi aggrappate alla musica”.

No. Ascoltate. Letteralmente, ascoltate. Fate finta sia il 1999 con MySpace, mettete play al video del Tema del Re della Notte e finite di leggere, perché qui bisogna dare a Ramin Djawadi quel che è di Ramin Djawadi.

Non sarei onesta con me stessa se non menzionassi questo capolavoro perché è stata la mia ossessione musicale per le ultime tre settimane. Due note, speculari, e variazioni sul tema: il Tema del Re della Notte è struggente e di qualità elevatissima, non si vede un approccio così minimalista dai tempi d’oro di Georg Friedrich Handel. Djawadi si è ulteriormente superato nella penultima puntata, sostanzialmente citando sé stesso. Nel momento della morte dei gemelli Lannister suonano due noti temi, sentiti nelle previe stagioni. “Light of the Seven”, tema di Cersei quando fece esplodere il Tempio di Baelor, e le celeberrime “Piogge di Castamere”, in versione mashup mentre i significati di quei due brani, precedentemente emblematici delle vittorie dei Lannister, si ritorcono contro di lei. Per chi è meno purista di me, c’è anche l’altra chicca della stagione: Florence and the Machine in una incredibile interpretazione di Jenny of Oldstones.

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La Cinematografia

Qui non vi è bisogno di dilungarsi troppo: la regia, la fotografia, gli effetti speciali, il casting, i costumi, tutto voto dieci. Anche il criticatissimo terzo episodio, infamato per essere troppo buio, l’ho trovato essere una scelta artistica notevole. Volevano terrorizzarci con l’ignoto e hanno ampiamente raggiunto il loro obiettivo.

Il set di Approdo del Re è stato costruito ex novo in un terreno nei pressi di Belfast, contrariamente alle stagioni precedenti, in cui gli episodi sono stati filmati a Dubrovnik, per concedersi la distruzione totale della città. Nei costumi c’è una attenzione certosina ai dettagli (avete visto che sull’armatura dorata di Brienne c’è un piccolo corvo stilizzato, il nuovo stemma di Bran?) ma dei simbolismi ne parliamo più approfonditamente qui sotto.

Gli archi narrativi e il Simbolismo

Nonostante la vastità di critiche sul distaccamento tematico dai libri, ho trovato l’uso di simbolismo veramente efficace e coerente con la Lore.

La mappa di Westeros nel cortile del Red Keep

In questo preciso punto succedono cose tematicamente interessanti.

  • Tyrion: Il nostro folletto, nell’ultimo episodio, cammina sulla mappa nel cortile, trafitta da una crepa (visibile anche nella sigla), circondata da neve, cenere e dalle macerie. Tyrion letteralmente cammina sul paese spezzato, in rovina, mentre la sua principale preoccupazione è scoprire le sorti della sua famiglia.

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  • Arya e Sandor Clegane: Su quella mappa la nostra coppia omicida preferita si dà l’addio. Sandor va a completare il suo arco di redenzione e Arya, che ha improntato tutta la sua vita sulla vendetta, la lascia andare. Una scena in contrapposizione al ritrovo di Jaime e Cersei, nello stesso punto. Jaime non riesce a portare a termine il suo cambiamento, non potendosi disintossicare da Cersei, contrariamente a Clegane, che affronta la sua più grande paura, sacrificandosi al fuoco, pur di portare a termine la sua missione. Cersei e Daenerys, invece, sono speculari ad Arya, la quale rinuncia al rancore, pur di dire nuovamente “non oggi” alla morte. Le due regine non riescono a retrocedere dal loro cammino vendicativo, portandole entrambi alla loro fine.

Jaime e Brienne

Per coloro che pensano ancora che l’arco narrativo di Jaime sia stato un “buttare dalla finestra sette stagioni di sviluppo”, le parole di Brienne nel Libro dei Cavalieri dovrebbero cementificare, invece, quanto esso abbia influito nella storia. Forse non è arrivato a meritarsi la redenzione in vita ma l’ha ampiamente ottenuta postuma.

Jaime Book Of Knights

Le trecce di Daenerys

Forse per alcuni sarà come scoprire l’acqua calda, ma le trecce di Daenerys sono fortemente collegate alla Lore di Essos. È una tradizione Dothraki che la porta ad aggiungere una treccia per ogni vittoria sul campo. Nel quinto Episodio, la troviamo, abbattuta, emaciata ma, soprattutto, con le trecce sciolte. Un vero e proprio simbolo di sconfitta, per poi tornare, alla fine dell’olocausto della capitale, con una testa incoronata da trecce, più numerose che mai, con il significato implicito che la nuova villain della stagione, reputi il massacro una vittoria.

Daenerys e l’Ambivalenza

La cosa più interessante dell’arco narrativo della madre dei Draghi è la dualità con cui è stato portato avanti. In retrospettiva vi erano tanti indicatori di un eventuale Reggente illuminato quanto di un Tiranno megalomane. Ci hanno tenuto in bilico tra queste due figure, coesistenti nel personaggio di Daenerys. Il vero lancio della moneta, citato da Varys, non è avvenuto alla sua nascita, è avvenuto sul campo di battaglia. Potrei scrivere, forse, un’intera tesi sulla psicologia dell’emarginazione e della necessità del senso di appartenenza, ma non vi tedierò, farò solo un ulteriore cenno musicale. Dei temi esotici sono ricamati nel Tema dei Targaryen, il quale ondeggia tra gli archi indicativi di Westeros e (correggetemi se erro, mi pare un Duduk) uno strumento a fiato originario del Caucaso, per riecheggiare l’esoticità di Essos e Valyria, nello specifico. Riassumo Daenerys semplicemente come un personaggio costruito in modo eccelso per essere ambivalente: martire e tiranno, di Essos e di Westeros, portatrice di vita e omicida, vittima e villain.

recensione game of thrones

Jon, la vergogna e Spettro

L’arco narrativo di Jon pare lo porti esattamente dove ha iniziato. Mi perdonerete una semi citazione Proustiana, il percorso di Jon non è stato raggiungere terre nuove ma tornare con occhi nuovi. Lui andò sulla barriera per vergogna di ciò che fosse, per ragioni di forza maggiore, per essere un figlio bastardo. Si è vestito di nero pentendosi della sua stessa esistenza, per fattori fuori dal suo controllo. Nell’abbandono di Spettro è celato un abbandono della sua natura Stark, un’indole indipendente, libera, umile, per inseguire i Draghi, o meglio, il suo lato Targaryen. Con il suo ritorno al Nord e con il ricongiungimento col suo metalupo, Jon abbandona “Aegon” e, con lui, l’ambizione, i titoli, il sangue del Drago, a favore della libertà, a nord della barriera, con i bruti. Torna al nero, sempre nella vergogna, ma, finalmente, a causa di una azione di sua scelta, padrone di sé stesso.

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Concedetemi due menzioni d’onore prima del dulcis in fundo. Certo, gli archi di Brienne, Bronn, Samwell e Tyrion sono stati soddisfacenti, ma qua stiamo ancora parlando di simbolismo, no? Quindi bisogna menzionare Davos, che con il suo nuovo utilizzo di grammatica corretta, porta avanti la fiaccola, sì, del nostro Stannis ma, soprattutto, la memoria di Shireen, che gli insegnò a leggere. In secondo luogo Arya, sembrerà una cosa da poco ma vedere il sigillo Stark spiegato sulle sue vele mi ha emozionato non poco. Non è più Nessuno, è Arya Stark di Winterfell, e si porta il Nord con sé, ovunque vada.

Infine, bisogna parlarne, si è concluso il migliore arco narrativo di tutta la serie, quello di Sansa Stark.

Sansa e l’indipendenza

Tutti coloro che hanno accusato la serie di essere sessista sono invitati a leggere questa parte con attenzione.

QUEEN IN THE NORTH

Sansa, inizialmente, era quella ragazzina disposta a sottomettersi alla persona più vile dei Sette Regni, Joffrey, pur di diventare Regina, vivere nell’agio, nel lusso sfrenato. La sua missione era scegliere, semplicemente, la migliore persona a cui sottomettersi, da cui dipendere. Sansa riesce a tramutare la sua oppressione in insegnamenti. Fino ad arrivare ad essere il Lupo allevato da Leoni, una stratega in grado di circumnavigare una mente contorta come quella di Ditocorto, di riunire tutti i Lord di Westeros nell’Arena dei Draghi per un dibattito civile.

L’indipendenza del Nord è simbolica dell’indipendenza individuale di Sansa. Lei cede i maggiori lussi che otterrebbe da sorella del Re, a favore del riabbracciare le proprie radici, più umili, più sobrie, più Stark ma senza più doversi sottomettere a nessuno.

Si fa incoronare indossando un abito con sopra ricamate le foglie degli Alberi Diga (Weirwood), simboli del Nord, degli Dei da loro venerati, diversi dai restanti Sei Regni, simbolo delle radici che collegano tutta la sua famiglia e un cenno a suo fratello Bran, il quale utilizza gli alberi Diga per “vedere”. Lunga vita alla Regina del Nord.

Weirwood Leaves

Nonostante le critiche e gli errori, nonostante l’ottava stagione, GoT rimane un capolavoro.

La Stagione non è stata al pari di tutto ciò che la ha preceduta, ma ci ha donato delle degne conclusioni ai personaggi nei quali abbiamo investito 8 anni di tempo. Non volevo che finisse. Vorrei altre otto puntate come la Seconda, di scorci di vita, di dialoghi, di retroscena. Avrei voluto sentire la fine della barzelletta di Tyrion che prova a raccontare sin dal Nido dell’Aquila e sapere cosa ci faccia in un bordello con un alveare e un asino. Sapere che sono già in produzione gli spin-off non è sufficiente per rincuorarci definitivamente. Questo ultimo Episodio, però, ha regalato anche a molti degli spettatori più scettici una conclusione che ci concedesse di congedarci dai nostri personaggi preferiti a cuor più leggero. Di poter elaborare il nostro lutto. Di poter finalmente dire and now our watch has ended.

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Caroline Ribi Zappi

È qua perchè ha sbagliato coordinate dimensionali. Nella vita reale è una persona seria, qui dà libero sfogo al suo nerdismo represso. Sogna invano di diventare il prossimo Piero Angela.

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