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Renato Jones: l'uno%. E' lotta di classe

L’1% della popolazione mondiale possiede più soldi del restante 99%. Certo, si tratta di un fatto noto, e forse proprio a causa della familiarità che si è venuta a creare questa statistica non ci appare più tanto sconcertante. Sì, viviamo in un mondo di megaricchi. E’ triste, ingiusto, scandaloso forse, ma tant'è. Non ci possiamo fare molto, quindi rinunciamo a farci il sangue amaro e lo accettiamo, come se fosse qualcosa di naturale, come se invece non fosse la descrizione numerica della più grande ingiustizia sociale della nostra era.
Kaare Kyle Andrews parte da questa precisa premessa per elaborare il suo Renato Jones: l’uno%, primo volume di una storia violenta, rabbiosa, liberatoria, che è la sua risposta, chiara ed esplicita, alla situazione. Se l’1% possiede più ricchezza del resto del mondo non è per una fortuita casualità né per merito. No: l’1% ha ottenuto la sua ricchezza a spese del restante 99%, ed ora la protegge e la moltiplica vessando e tartassando quel 99% che viene privato di ogni speranza, prospettiva e perfino umanità. 
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L’opera di Kaare Andrews, già autore Marvel, muove da questa limpida premessa per raccontare la storia di Renato Jones, un orfano che ha sperimentato sulla sua pelle tutta la sistematica crudeltà  dei megaricchi, e che poi, per qualche ironico gioco del destino, eredita una fortuna che lo eleva (anzi: precipita) in quella classe sociale che ha già imparato a disprezzare. 
Renato Jones è parte del 99%, pur avendo accesso a tutte le risorse ed i privilegi dell’1%. Userà queste risorse per una crociata personale, per punire in maniera inappellabile, inarrestabile e definitiva tutti coloro che sono sulla sua lista nera. Reciterà la parte del megaricco, sapendo che per avere accesso ai suoi bersagli dovrà fingersi altrettanto crudele, spietato, degenerato, fingere di condividerne le perversioni e la totale mancanza di empatia verso chi non è nemmeno considerato umano. Si farà invitare alle loro feste, parteciperà ai loro eventi…e li ascolterà piagnucolare, cercare di corromperlo, promettendogli tutto quello che i loro soldi possono comprare. E infine li ucciderà, naturalmente.
La storia di Renato Jones è piuttosto semplice, a ben guardare. I personaggi sono molto lineari, i colpi di scena sono pochi e non riguardano il messaggio, la filosofia di fondo. Questa rimane immutabile, scolpita nella roccia. In maniera quasi dickensiana, i personaggi incarnano al cento per cento i propri vizi: i megaricchi sono tutti crudeli, pervertiti, arroganti, egoisti, e Renato Jones è monodimensionale dall'inizio alla fine: è il giustiziere incorruttibile, il punitore che fa proprie le armi del nemico senza mai mostrare alcuna debolezza. 
E nell'economia narrativa del fumetto così deve essere: quest’opera non è pensata per essere una complessa, realistica analisi di una società intrisa di ingiustizia; quest’opera è la storia splatter di un “batman giustiziere sociale” che fa esplodere le cervella ai responsabili della povertà del mondo, una violentissima catarsi in stile Tarantino che cerca, con successo, di toccare quella parte oscura del lettore, l’inconfessabile desiderio di vendetta, di retribuzione, di sangue.
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Renato Jones è uno sfogo per questi istinti, è la storia degli intoccabili che vengono toccati, del fallimento dei too big to fail, dei megaricchi che si rendono disperatamente conto che nessun ammontare di denaro li potrà proteggere dal giudizio finale.
E’ lo stesso spirito di Masters of War di Bob Dylan, o di Inglorious Basterds e Django Unchained del già citato Tarantino: la rabbia, lo sdegno, lo scandalo per delle ingiustizie così grandi, così imperdonabili, tirano fuori una reazione viscerale, primordiale, che non rispetta i convenzionali canoni di correttezza, etica e morale, ma non per questo è meno vera. Renato Jones è lo sfogo di questa rabbia incontenibile, ci permette di vivere vicariamente l’inconfessabile soddisfazione della vendetta su chi  sappiamo essere colpevole ma irraggiungibile. E’ una critica feroce al Sistema, un sistema creato dai ricchi a discapito di tutti gli altri, che ne perpetua i privilegi e che non è in grado di mettere un argine all'ingiustizia proprio perché è stato creato apposta per preservarla, non per combatterla. In questa situazione, dunque, c’è bisogno di una figura al di fuori del sistema, anzi, esplicitamente contro il sistema, per proteggerci dal sistema.
L’intero comparto grafico, così come quello narrativo e di sceneggiatura, è del tutto al servizio di questa visione limpida: il tratto è grezzo, scorretto, le scene sono violente, sfrenate, esagerate. Si passa senza preavviso da un bianco e nero in stile Sin City a tavole coloratissime, da pagine fitte fitte di vignette a splash page dinamiche ed estreme. Inframezzate ai capitoli ci sono anche delle gustosissime pubblicità di lusso, con degli slogan tanto cinici quanto geniali.
Renato Jones: l’uno% è un fumetto molto forte, molto spinto, e ovviamente molto, molto politico. Il messaggio è chiaro fin dalla copertina e non riserva sorprese. E’ la prima opera da solista di Kaare Andrews, che ne ha curato ogni singolo dettaglio, ed è quindi molto chiaramente il suo manifesto: lucido, diretto, non accetta fraintendimenti. Si tratta del volume uno, e francamente non vediamo l’ora del seguito.

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Gabriele Bianchi

Lettore, giocatore, conoscitore di cose. Storico di formazione, insegnante di professione, divulgatore per indole. Cercatelo in fiera: è quello con la cravatta.

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