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11 Settembre: le lezioni di intolleranza di Frank Miller

Oggi è l'11 settembre, e non c'è giorno migliore per parlare dell'ultima fatica di Frank Miller, la sua ultima graphic novel, che è anche il suo ultimo pamphlet politico, Sacro Terrore.
Ora, parlare di Sacro Terrore ci mette un po' in imbarazzo. Da una parte non possiamo che fare i complimenti a Miller per quanto raffinata sia ormai la sua regia, per quanto perfettamente abbia padroneggiato il medium fumetto: Sacro Terrore è un lavoro tecnicamente impeccabile. La sceneggiatura è brillante, sia quando è cruda e impegnata sia quando -raramente- si lascia andare a divertite strizzatine d'occhio al lettore (ci riferiamo in particolare allo spassoso dialogo in cui Fixer, vigilante mascherato inventato da Miller per l'occasione dopo che la DC gli ha impedito di utilizzare Batman come protagonista per la sua storia, racconta le sue origini), i disegni sono il meglio che Miller possa fare, sia in termini di tratto che di scelta dei soggetti e delle inquadrature, il ritmo della storia, il tono, l'incommensurabile violenza che trasuda da ogni vignetta: tutto è perfettamente all'altezza di quello che ci aspetteremmo da un navigato maestro all'apice della sua maturazione artistica.
Sacro Terrore, tuttavia, è fin dal suo concepimento qualcosa di più, o forse solo di diverso, che una graphic novel d'autore. Si tratta dell'opera più esplicitamente politica, polemica e programmatica di Miller, molto più, e molto più esplicitamente, che qualunque altra che l'ha preceduta.
Quale sia il messaggio non crediamo sia fonte di stupore per chiunque conosca Miller almeno un pochino, o per chiunque abbia letto uno qualunque dei suoi lavori precedenti senza avere fette di carne rossa sugli occhi. Vogliamo mettere subito in chiaro una cosa importante: pur non condividendolo in alcuna sua parte, non è il messaggio in sé che ci crea l'imbarazzo di cui sopra. Non siamo certo così superficiali e sciocchi da dire che un'opera è brutta perchè non siamo d'accordo con il punto di vista espresso: La Rivolta di Atlante di Ayn Rand, Il Pianeta Proibito di Wilcox, Fanteria dello Spazio di Heinlein (il libro, non il film), gli stessi altri fumetti di Miller, da 300 a Sin City e mille altre ancora sono tutte opere con messaggi, punti di vista, filosofie magari non condivisibili. Ma siamo perfettamente in grado di riconoscerne il valore nonostante questo.
Il problema di Sacro Terrore giace su un altro livello. A turbarci non è tanto il messaggio di violenza e vendetta come sinonimi di giustizia, di intolleranza, di razzismo, di come la guerra sia l'unico stato in cui si possa essere veramente in pace, ma piuttosto è l'esecuzione che ci lascia del tutto insoddisfatti. Sacro Terrore non è altro che una brutale accozzaglia di scene da macho, alla fine della quale il protagonista, che peraltro appare non essere altro che un bullo di periferia, senza il minimo tratto distintivo salvo appunto l'assenza di tratti distintivi, dimostra che l'Occidente ce l'ha più lungo e duro dei fondamentalisti uccidendoli tutti nella maniera più bieca e cattiva possibile.
Si tratta della messa in arte della prima, viscerale, bestiale reazione che qualunque statunitense non può non aver avuto dopo l'attacco del 2001: ci hanno fatto male, ora noi facciamo male a loro. Questa reazione, comprensibile allora, undici anni dopo appare grottesca, infantile e francamente inutile. In Sacro Terrore non c'è il minimo sforzo di andare oltre la violenta reazione animalesca, di raffinarla o di ripulirla di tutte le plateali stupidaggini che, se erano comprensibili una decade fa, quando il sangue ribolliva e le macerie fumavano, certo non sono più giustificabili oggi. Non c'è alcuno sforzo per distinguere fra “musulmano” e “fondamentalista”, il razzismo è gratuito, infantile, da gradasso ignorante che si bulla della sua ignoranza (“quindi, Mohamed -e scusa se tiro a indovinare, ma devi ammettere che è fortemente probabile che ci abbia azzeccato- qual è il piano?”), gli “eroi” sanno cosa fare (cioè chi uccidere) per istinto, quasi come se fossero animali che hanno fiutato il loro nemico naturale. 
Miller presenta un'opera in cui argomenta (non proprio, ma passateci il termine) che la violenza, l'odio e la guerra fra civiltà siano la strada giusta da percorrere, che ci siamo noi e ci sono loro e che bisogna fare in modo che loro vengano fatti sparire, e che la tolleranza, in fondo, è debolezza. Quello che è più tragico di quest'opera è che dopo averla letta non ci si può non chiedere su che base Miller ritenga allora che i terroristi abbiano fatto qualcosa di illecito, visto che ciò che suggerisce di fare in risposta all'attacco non è in nulla differente all'attacco stesso. L'autore non propone nient'altro che un fondamentalismo occidentale, tanto brutale, crudele e detestabile quanto quello islamico, ma quel che è peggio è che pare che non se ne renda realmente conto.

Sembra che Miller, pur di canalizzare tutta la sua ira, la sua incazzatura, abbia scritto Sacro Terrore di corsa, quasi temesse che se avesse rallentato i suoi pensieri razionali l'avrebbero raggiunto. Perfino la dedica finale, a Theo Van Gogh, il regista olandese assassinato da un integralista islamico nel 2004, suona tristemente ironica: dedicare ad una vittima dell'intolleranza un'opera intollerante è veramente una pessima trovata.

Insomma, Sacro Terrore si rivela essere una delusione, un'opera politica che comunica un messaggio di una pochezza desolante in una maniera pessima. Miller ha provato ad essere esplicito, ad abbandonare ogni pretesa di politicamente corretto (non che sia mai stato un grosso problema) e, per quanto ci riguarda, ha fallito fragorosamente.

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Gabriele Bianchi

Lettore, giocatore, conoscitore di cose. Storico di formazione, insegnante di professione, divulgatore per indole. Cercatelo in fiera: è quello con la cravatta.

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