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Assassinio a Venezia: l’ora più buia di Poirot | Recensione

Nel terzo capitolo della saga di Branagh, vediamo il detective alle prese con un caso decisamente oscuro

A più di cento anni dalla sua prima apparizione letteraria e a quasi venticinque dall’inizio della storica serie TV con David Suchet, il detective Hercule Poirot è ancora sulla cresta dell’onda. La versione cinematografica di Kenneth Branagh continua a tenere botta e si prepara ad approdare di nuovo nelle sale con un terzo capitolo. E allora vediamo cosa aspettarci da questo Assassinio a Venezia nella nostra recensione.

Assassinio a Venezia, la recensione: di cosa parla il nuovo film di Poirot?

Siamo nel secondo dopoguerra e il detective belga non è più un detective. Si è ritirato in un esilio volontario a Venezia e rifiuta tutti i casi che folle di questuanti gli propongono fuori dalla sua porta. Ha addirittura assunto un ex-poliziotto come guardia del corpo, per bloccare i più insistenti. Tuttavia, c’è una proposta che non riesce davvero a rifiutare.

Non si tratta di un omicidio questa volta, ma di qualcuno che sostiene di saper parlare con i defunti. Una medium dalle abilità apparentemente inspiegabili, che terrà una seduta spiritica in un vecchio palazzo veneziano, tormentato da un passato (remoto e recente) di tragedie. Poirot dovrà quindi raccogliere la sfida di svelare il trucco, ma la serata prenderà una piega inattesa…

È una storia che prende un taglio decisamente più cupo di quelle che abbiamo visto fino a qui. Non solo per i sottotoni horror evidenti fin dal trailer, non solo per la scelta di ambientarla ad Halloween (anche se l’idea che a Venezia nel 1947 si celebrasse questa festa, per di più con il coinvolgimento di suore, fa un po’ strano), ma perché il nostro protagonista è più cupo.

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Non siamo più negli anni ’30. Lo spettro della guerra che si vedeva in lontananza nelle altre pellicole è arrivato e si è rivelato ancora più terribile di quanto si immaginasse. E Poirot, che già aveva vissuto sulla sua pelle il primo conflitto, ne ha sentito l’impatto. Non è più il brillante conversatore dei primi film, pronto a diventare serio al momento decisivo, ma un protagonista più riflessivo. E si troverà davanti a una sfida che metterà a dura prova le sue certezze.

Non arrendersi alla semplicità

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Photo courtesy of 20th Century Studios. © 2023 20th Century Studios. All Rights Reserved.

Nella recensione di Assassinio sul Nilo abbiamo applaudito Branagh per la sua scelta di andare oltre il semplice adattamento di Poirot e questo approccio ritorna anche in Assassinio a Venezia. Un po’ perché rispetto ai precedenti, qui la trasposizione è più libera, prendendo solo spunto da Poirot e la strage degli innocenti. Un po’ perché c’è un tentativo di infondere un gusto diverso a questo film.

Tutta la pellicola, fin dai primi istanti, è caratterizzata da un tono più horrorifico. Ci troviamo in un’ambientazione più buia, con una vicenda particolarmente dolorosa e immersi in atmosfere e racconti tra il macabro e il soprannaturale. Ed è la chiave per vivacizzare questa saga, intervenendo ancora prima che ci sia effettiva necessità di farlo.

È in questo che la serie di Poirot di Kenneth Branagh si rivela brillante. Non per il cast (ancora una volta eccezionale, capitanato proprio dal regista), non per i racconti in sé, non per le location straordinarie che si aggiornano a ogni capitolo. Ma per la piena comprensione di quello che comporta fare dei film dedicati a questo straordinario personaggio e non dei meri adattamenti.

Sarebbe facilissimo prendere le pagine di Agatha Christie e portarle sul grande schermo così come sono. Ma Kenneth Branagh e Michael Green (autore della sceneggiatura di tutti e tre i capitoli finora) hanno voluto fare un passo in più e creare qualcosa di più complesso. E così facendo hanno reso la serie ancora una volta viva, evitando di creare una sensazione da “more of the same” prima ancora che questa potesse formarsi.

La recensione di Assassinio a Venezia: Poirot convince ancora una volta

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Photo courtesy of 20th Century Studios. © 2023 20th Century Studios. All Rights Reserved.

Forse la critica principale (al di là della scelta di Riccardo Scamarcio di doppiare sé stesso nella versione italiana, che stride con il resto del cast) che si può muovere a questa pellicola è qualche leggera imprecisione nella messa in scena del caso stesso. Non perché non fili, naturalmente: il racconto è sempre all’altezza di ciò che conosciamo, con una tensione crescente davvero ben gestita.

Tuttavia, proprio alcune decisioni su come venga narrato il tutto, dove porre l’accento e dove invece non dire nulla sono rivelatorie. Basandosi su quello che potremmo chiamare metagame diventa possibile vincere al gioco del film e battere Poirot sul tempo (o almeno così è stato per noi). Per questo il film potrebbe risultare più debole rispetto agli altri, ma rimane comunque una visione appassionante e consigliata.

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Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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